There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

mercoledì 22 luglio 2015

Mr.Robot: la serie rivelazione dell'estate



Elliot Anderson (Rami Malek) è un giovane hacker newyorkese, impiegato in una società di sicurezza informatica che lavora al servizio di multinazionale quotate in Borsa.
Elliot soffre di un forte disturbo antisociale di personalità, oltre che di ansia e depressione, non riesce a relazionarsi con amici e colleghi, è spesso preda di allucinazioni e manie di persecuzione, e riesce a trovare riparo solo assumendo dosi (controllate) di morfina: 30 milligrammi al giorno sono il limite che si è prefissato per non cadere nella dipendenza totale dalla sostanza. 
Sguardo impassibile, cappuccio della felpa perennemente in testa, mani in tasca: si aggira così tra le vie di una New York cupa e asettica, sventando crimini informatici di individui legati più o meno a persone a lui care. 
Perché sì, nonostante tutto, lui prova sentimenti di affetto, seppur per pochi eletti: su tutti Angela (Portia Doubleday), amica d’infanzia e collega di lavoro, e Shayla (Frankie Shaw), la sua drug dealer.
La vita di Elliot si divide quindi su due binari paralleli e agli antipodi l’uno con l’altro: l’hacker drogato e sociopatico e il tecnico informatico timido e disponibile con i colleghi.
L’incontro per nulla casuale con l’emblematico Mr.Robot (Christian Slater), capo della misteriosa organizzazione FSociety, arriva all’improvviso a stravolgere la sua vita.
Per colpire al cuore la E(vil)-Corp, una delle multinazionali per cui la società dove lavora Elliot collabora, Mr.Robot ingaggia il giovane hacker e lo trascina in un groviglio di eventi concatenati che hanno come unico fine quello di distruggere le grandi aziende che controllano l’ordine economico mondiale. Come? Cancellando totalmente il debito finanziario di tutta la popolazione e smantellando una volta per tutte qualsiasi gioco di potere e sudditanza psicologica esercitata dal più forte al più debole.
Si innesca così un pericoloso vortice di causa-effetto che pone Elliot al centro  dell’intera vicenda, costringendolo a decidere che via intraprendere: continuare a barcamenarsi tra pirateria informatica e violazione della privacy per smascherare piccoli e medi criminali, o lasciarsi travolgere dalla FSociety e andare a colpire l’enorme società che controlla gran parte del sistema finanziario mondiale. La stessa azienda che, come svela Mr.Robot nel terzo episodio, è anche colpevole della morte del padre di Elliot anni prima.
Tra personaggi borderline membri della Fsociety, spicca su tutti Darlene (Carly Chaikin), hacker pericolosissima e grande protetta di Mr.Robot, e temibili nemici per Elliot, nello specifico Tyrell (Martin Wallstrom) aspirante CTO della E-Corp nella vita lavorativa, sadico dominatore in quella privata.

Questa in sintesi la trama della nuova serie in onda in questa infuocata estate su USA Network, rete via cavo che vanta tra i suoi show White Collar, Suits, Psych e Royal Pains.
Il potenziale di Mr.Robot è enorme, innumerevoli i filoni da sviluppare per una serie creata da un semi esordiente: Sam Esmail, regista di Comet, film del 2014 con Emmy Rossum, la Fiona di Shameless.
La forza della serie risiede innegabilmente in Rami Malek, perfetto nel ruolo di Elliot: la sua interpretazione e la sua magnetica voce narrante conquistano immediatamente lo spettatore. 
La scelta della narrazione del racconto in prima persona si rivela azzeccatissima: l’empatia tra pubblico e personaggio è solida e vincente.
Umorismo sagace e cinico alla Sherlock dell’amatissimo Benedict Cumberbatch, somiglianza fisica e caratteriale con il timido Simon (Iwan Rheon) di Misfits e similitudine innegabili (soprattutto nella struttura del racconto) con Dexter e il personaggio stesso interpretato da Michael C. Hall, rendono Elliot Anderson un’icona del nostro tempo.
Personaggio principale a parte (non brilla altrettanto Christian Slater, nonostante la fama), il potenziale dello show si rafforza grazie a tematiche attuali e ben definite e strutturate, su tutte la critica alla società americana, all’uso incessante dei social network e alla totale mancanza di privacy che ne deriva, riassunte perfettamente in un breve monologo che Elliot fa dinanzi la sua psicanalista Krista (Gloria Reuben):

"Is it that, we collectively thought that, Steve Jobs was a great man? Even when we knew he made billions off the backs of children. Or maybe it's that it feels like all our heroes are counterfeit. The world itself is just one big hoax. Spamming each other with our commentary bullshit masquerading as insight. Our social media faking us into intimacy, or is that we voted for this? Not with our rigged elections, but with our things, our property, our money. I'm not saying anything new, we all know why we do this. Not because Hunger games books makes us happy, but because we want to be sedated. Because it's painful not to pretend, because we're cowards. Fuck Society."

La colonna sonora, che ricorda moltissimo quella di The Social Network (David Fincher, 2010) realizzata da Trent Reznor e Atticus Ross, è la ciliegina sulla torta. Piccola perla, la scelta originale di denominare ogni episodio della serie (10 in totale) con nomi di diversi formati di file: mov, mkv, mp4 e via dicendo.

"My perfect maze... crumbling before my eyes.
There's nothing to hide behind.
 I didn't think it existed, but there it is...

Mr. Robot finally found my bug."


mercoledì 25 marzo 2015

1992: salviamo il cinema da Stefano Accorsi



Mesi e mesi di aspettative troppo alte, hype eccessivo, uso martellante della frase “la serie evento” e il risultato qual è?
Che dopo i primi due episodi trasmessi su Sky Atlantic, 1992 si è rivelata una serie sì discreta ma deludente sotto parecchi aspetti.
Finzione e realtà non si mescolano in maniera fluida: i personaggi di fantasia irrompono in scena al fianco di quelli reali (Mario Chiesa, Antonio Di Pietro, Marcello Dell’Utri) ma il risultato che ne deriva non è per nulla omogeneo. 
Persone comuni la cui vita si intreccia e ingarbuglia con il terremoto socio-politico italiano di quell’anno: personaggi troppo approssimativi, lontanissimi dalla realtà e fin troppo stereotipati.
Il problema della serie “ideata” da Stefano Accorsi (vero punto debole della fiction) è esattamente quello di cadere miserabilmente nel cliché più totale: l’aspirante velina, il pubblicitario arrivista, e via dicendo.
Certo, non siamo di fronte a un documentario, sempre di fiction trattasi del resto, ma sin dai primi minuti ciò che emerge subito è proprio la totale mancanza di quell’aderenza alla realtà, imprescindibile in una serie del genere, così evidente invece in Romanzo Criminale e Gomorra (il paragone, checchè se ne dica, è inevitabile) due capolavori dai quali 1992 è distante anni luci stilisticamente.
Colpa senza dubbio della regia: per quanto impeccabile, risulta troppo patinata e impostata per una serie di questo tipo, per nulla tra l'altro rinforzata dai dialoghi, talmente convenzionali e prevedibili da risultare quasi macchiettistici. 
Ma la colpa, soprattutto, è del cast: a dir poco imbarazzante la scelta degli attori, a partire da Stefano Accorsi, che ancora mi chiedo come faccia a lavorare al cinema e a teatro, ma anche e soprattutto per Miriam Leone e Tea Falco, due “attrici” talmente  incapaci di recitare e risultare anche solo un minimo credibili, che al loro cospetto Monica Bellucci in “I mitici - Colpo gobbo a Milano”, meriterebbe l’Oscar come miglior attrice protagonista. 
Unica nota positiva tra questo gruppetto di presunto attori, Alessandro Roja (il Dandy In Romanzo Criminale, e Antonio Gerardi, nei panni di Di Pietro),
E poi c’è Milano, lontana da quegli anni Novanta nelle inquadrature e nei minimi dettagli, distante dal contesto in cui la si vorrebbe rinchiudere.
Non bastano la sigla di Casa Vianello, né qualche video di Non è la Rai o una canzone d'annata per contestualizzarla in un’epoca nera, cupa, rancorosa con sé stessa e col mondo esterno.
"Diamogli tempo a questo 1992" molti hanno suggerito, ma io credo ancora ai colpi di fulmine e una serie soprattutto se definita “evento” dovrebbe stregarmi subito: 1992 mi ha stordita appena ed è riuscita più che altro a infastidirmi soltanto.


martedì 24 marzo 2015

Nessuno si salva da solo: anatomia di un amore



"È inutile indagare le occasioni mancate.
Non sai mai se ti sei salvato dalla morte, o ti sei perso la vita vera"
(Margaret Mazzantini)

Nessuno si salva da solo racconta la realtà di una generazione, quella dei quarantenni (o quasi) di oggi, soffermandosi sull’anatomia di un amore, tra Delia e Gaetano (Yasmine Trinca e Riccardo Scamarcio), due personaggi sopraffatti dai dolori contemporanei, ostaggi delle proprie difficoltà, intrappolati nelle loro mancanze.
La storia parte da una cena tra i due, coppia ormai separata, costretta a incontrarsi per pianificare le vacanze dei figli.
Il ristorante si trasforma nel palcoscenico in cui si svolgono le vicende raccontate nel film (tratto dal romanzo di Margaret Mazzantini e diretto da Sergio Castellitto) e la cena diventa il pretesto ideale per analizzare, volenti o nolenti, la storia, o meglio il fallimento di una vita, tra sfiducie e umiliazioni, senza dimenticare però i momenti iniziali di travolgente passione. 
I protagonisti si guardano, si amano, si odiano, si "vomitano" addosso insulti e accuse, ripercorrono le prime fasi del loro innamoramento in maniera del tutto spontanea a naturale per sfociare poi nella violenza, fisica e verbale, degli ultimi giorni della loro vita insieme, e raccontarci, o provarci almeno, il come e il perché non siano riusciti ad andare avanti insieme. 
Un fallimento, simbolo ineluttabile del nostro tempo.
Si sono innamorati da adulti, Delia e Gae, si sono amati follemente, morbosamente, e ancora lo fanno, ma la routine e la quotidianità hanno preso il sopravvento, soffocando i loro sentimenti, seppellendoli sotto una coltre spessa di dolore e rancore, tra sconfitte, desideri frantumati, perdita di fiducia in sé stessi e nel mondo intorno.
Scene da un matrimonio, ostacoli comuni, anche banali, in cui però tutti cadono: fotografie ancora piuttosto nitide di una storia d’amore sicuramente poco eclatante, ma proprio per questo “familiare”, vicina a tutti noi.
Gaetano e Delia sono una coppia volutamente asimmetrica: della medio-borghesia lei, ex ragazzina anoressica e con una madre alcolizzata, figlio di un sindacalista di Ostia lui, aspirante romanziere, sceneggiatore di quart’ordine.
Una storia d’amore urlata, in alcuni passaggi fin troppo, pronta a scivolare nel “mucciniano”, a tratti nulla più che un semplice cliché, ma proprio per questo estremamente vera.
Nevrosi e fragilità ci strizzano l’occhio, perché comuni a molti di noi.
Impossibile prendere una posizione dinanzi al film, impossibile schierarsi: ognuno a modo suo, ha torto o ragione.
Un dramma borghese parecchio parlato, che ricorda il cinema francese di Claude Lelouch in Un uomo, una donna (1966), ma anche il più moderno BlueValentine (Derek Cianfrance, 2010), arricchito da una colonna sonora (curata da Arturo Annecchino, Venuto al mondo) che spazia da brani di Tom Waits e quelli dei Sigur Ros, per concludersi con La sera dei miracoli di Lucio Dalla
Nessuno si salva da solo, perché nessuno da solo può farcela davvero.
Non per forza perché ha bisogno di un’altra persona cui appoggiarsi, ma anche soltanto perché ha bisogno di quella piccola dose di fiducia su cui fare leva, per rimanere a galla, o anche soltanto per provarci.
Non è una storia conciliante, né consolatoria: regala poche speranze, lascia l’amaro in bocca.
Proprio come succede nella vita di tutti i giorni.


“A due a due gli innamorati
sciolgono le vele come i pirati
e in mezzo a questo mare cercherò di scoprire quale stella sei
perché mi perderei se dovessi capire che stanotte non ci sei.
È la notte dei miracoli fai attenzione
qualcuno nei vicoli di Roma
ha scritto una canzone”.



mercoledì 18 marzo 2015

Nostalgia canaglia: Sky Atlantic 1992 riporta in auge gli anni Novanta



Cosa resterà di quegli anni Novanta?
O meglio, cosa ne è rimasto nell’immaginario collettivo?
Il 7 marzo, Sky Atlantic (canale 111 di Sky), ha lanciato il temporary channel1992” per supportare il lancio dell’omonima serie, incentrata sugli anni roventi di tangentopoli, in partenza martedì prossimo.
Fino al 24 marzo (per tutti gli abbonati Sky), un’opportunità davvero unica: immergersi completamente nell’atmosfera di un anno che, per motivi storici, politici, culturali, cambiò per sempre il nostro paese.
La programmazione del canale, 24 ore su 24, spazia da film e serie tv, a eventi sportivi e videoclip, e si è rivelata già dopo pochi giorni, un’ottima trovata di marketing e comunicazione: un’idea brillante che strizza l’occhio soprattutto agli appassionati del mondo delle serie tv.
Nonostante i film trasmessi siano titoli indimenticabili di quell’anno, Mediterraneo, Puerto Escondido, Johnny Stecchino, per citarne alcuni, l’entusiasmo di gran parte degli spettatori, stando al mondo del web, sembra focalizzata soprattutto sui telefilm del 1992, entrati successivamente negli annali del mondo della serialità americana.
Da Willy il principe di Bel Air a Baywatch, da Beverly Hills 90210 a Melrose Place, passando per Law&Order e Agli ordini Papà, il pubblico della rete è in visibilio.
Un successo, quello di Sky Atlantic 1992, testimoniato dal continuo nascere di conversazioni online intorno al tema: hashtag dedicati su Twitter, post studiati ad hoc sulla pagina Facebook del canale, con articoli che spaziano dai “migliori spot”, ai “migliori look” degli anni Novanta, tanto per sottolineare, semmai ce ne fosse bisogno, che di quel decennio non ci dimenticheremo mai.
Un successo garantito sin dall’inizio, ma tutto sommato inaspettato, eppure, il punto messo a segno da Sky Atlantic resterà probabilmente nella memoria degli spettatori anche al termine dell’iniziativa. In tanti ci scherzano già su, chiedendo una petizione online, aggrappati alla nostalgia dei tempi che furono.
E c’è chi, come me, ancora non riesce a capacitarsi di fare zapping e piombare di fronte al primo grande amore, l’unico e indimenticabile Dylan – Luke Perry - McKay.
Le cose sono cambiate in tv da quel lontano (ma neanche troppo) 1992, e oggi,
tra spin-off più o meno riusciti, viene naturale chiedersi se davvero convenga investire in un cast stellare o in effetti speciali e riprese cinematografiche (un esempio su tutti, True Detective), per raggiungere sul serio il cuore del pubblico.
Perché è vero che il tempo passa, le mode cambiano, e tutte le restanti frasi retoriche del caso, ma è vero anche che alla fine dei conti, a conquistare noi spettatori, sono pur sempre le storie semplici o quelle che in qualche modo riescono a riportarci indietro nel tempo, ai nostri ricordi, all’adolescenza svanita, o tra quattro mura, giusto per farci qualche risata tra amici.
Perché io, una serata tra amici in casa Walsh o a casa di qualcuno nel condominio di Melrose Place, in fondo in fondo, la preferirei a una giornata nella Casa Bianca col Presidente.
Speriamo solo non mi senta Frank Underwood.


martedì 3 marzo 2015

Empire: la serie che sta spopolando negli Usa, debutta stasera su Fox!


Grande debutto stasera alle 21.50 su Fox (canale 112 di Sky) per Empire, la serie prodotta dai pluripremiati Lee Daniels e Danny Strong (The Butler) che negli Usa sta letteralmente spopolando.
Un successo inaspettato e clamoroso, in crescita costante, che ha stupito la stessa Fox America: dai 9,9 milioni di spettatori della premiere (3.8 rating nella fascia 18-49) la serie ha raggiunto i 13,9 milioni di spettatori (5.4 rating) durante l'ottavo episodio.

Ma qual è il segreto che si nasconde dietro questo incredibile risultato?

Senza ombra di dubbio la colonna sonora, elemento portante dello show, composta da brani hip hop prodotti da Timbaland e Jim Beanz, cornice perfetta per la storia narrata, quella di Lucious Lyon (Terrence Howard) e del suo colosso musicale, la Empire Entertainment.
La serie è incentrata su Lucious (ex spacciatore per le strade di New York, oggi magnate di una delle case di produzione più importanti degli States), che scopre all'improvviso di essere affetto da SLA e con pochi anni di vita davanti a sé.
In seguito a questa scoperta, il personaggio interpretato da Terrence Howard, si trova costretto a dover scegliere un successore per il suo impero tra i tre figli: il giovane e ribelle Hakeem (Bryshere Y. Gray), il talentuoso e sensibile Jamal (Jussie Smollet), e il figlio maggiore, arrivista e cinico, Andre (Trai Byers).
A complicare la difficile decisione di Lucious, il ritorno di Cookie (la cantante e attrice Taraji Penda Henson), co-fondatrice dell’Empire e sua ex moglie, in carcere negli ultimi diciassette anni per aver coperto un crimine di cui lui stesso fu colpevole.

Tra intrighi, colpi di scena e sotterfugi di ogni tipo, si sviluppano così le vicissitudini di una famiglia, quella dei Lyon, senza dubbio sopra le righe, tra colpi di hip hop, azioni criminali e torbide storie d’amore.
Nel corso di questa prima stagione, ad arricchire un cast già di per sé notevole (tra tutti anche la Gabourey Sidibe di Precious) tante le guest star che affiancheranno Cookie e Lucious: Naomi Campbell, Macy Grey e Courtney Love. 
La serie, definita da alcuni “un dramma shakespeariano in salsa hip-hop”, o “un moderno Dinasty” da altri, non spicca certo per originalità a livello di trama e sceneggiatura, ma colpisce per il ritmo incalzante e la colonna sonora che la fa da padrona.

L’appuntamento con Empire è questa sera, 21.50, su Fox: buona visione!

lunedì 9 febbraio 2015

BAFTA 2015: l'elenco completo dei vincitori


Si sono tenuti ieri sera, alla Royal Opera House di Londra, gli Oscar inglesi, i BAFTA, assegnati dalla British Academy of Film and Television Arts.
A trionfare, nonostante le numerose nomination di Birdman, The Imitation Game e La teoria del tutto, è stato Boyhood di Richard Linklater, che si è portato a casa i premi come miglior film, regia e attrice non protagonista.
Incetta di statuine per Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, che oltre al premio come miglior sceneggiatura originale, si è aggiudicato riconoscimenti per lo più tecnici (trucco, colonna sonora, scenografie, costumi).

Di seguito l’elenco completo di tutti i premi.

FILM
Boyhood

REGISTA
Boyhood – Richard Linklater

ATTORE PROTAGONISTA
Eddie Redmayne – La Teoria del Tutto

ATTRICE PROTAGONISTA
Julianne Moore – Still Alice

SCENEGGIATURA ORIGINALE
Grand Budapest Hotel – Wes Anderson

SCENEGGIATURA ADATTATA
La Teoria del Tutto – Anthony McCarten

ATTORE NON PROTAGONISTA
J.K. Simmons – Whiplash

ATTRICE NON PROTAGONISTA
Patricia Arquette – Boyhood

MIGLIOR FILM INGLESE
La Teoria del Tutto – James Marsh, Tim Bevan, Eric Fellner, Lisa Bruce, Anthony Mccarten

COLONNA SONORA
Grand Budapest Hotel – Alexandre Desplat

DOCUMENTARIO
Citizenfour – Laura Poitras

TRUCCO E PARRUCCO
Grand Budapest Hotel – Frances Hannon

SCENOGRAFIE
Grand Budapest Hotel – Adam Stockhausen, Anna Pinnock

CORTOMETRAGGIO ANIMATO INGLESE
The Bigger Picture Chris Hees, Daisy Jacobs, Jennifer Majka

MONTAGGIO
Whiplash - Tom Cross

SUONO
Whiplash – Thomas Curley, Ben Wilkins, Craig Mann

FILM ANIMATO
The Lego Movie – Phil Lord, Christopher Miller

EFFETTI VISIVI
Interstellar - Paul Franklin, Scott Fisher, Andrew Lockley

FOTOGRAFIA
Birdman – Emmanuel Lubezki

MIGLIOR DEBUTTO PER UNO SCENEGGIATORE, REGISTA O PRODUTTORE INGLESE
Stephen Beresford (sceneggiatore), David Livingstone (Producer) – Pride

MIGLIOR FILM NON IN LINGUA INGLESE
Ida – Pawel Pawlikowski, Eric Abraham, Piotr Dzieciol, Ewa Puszczynska

COSTUMI
Grand Budapest Hotel – Milena Canonero