There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

venerdì 4 aprile 2014

"Do you know who you are? Do you understand what has happened to you? Do you want to live this way?"


Grey's Anatomy: commento all'episodio 10x17 (contiene SPOILER)

Sai chi sei? Sai cosa ti è successo? È così che vuoi vivere?
Con queste domande si apre uno degli episodi più emozionanti della stagione in corso.
Grey’s Anatomy incontra Sliding Doors in una puntata interamente dedicata a Cristina. Con la classifica formula del “cosa succederebbe se…” veniamo così catapultati in un due universi futuri paralleli. Nel primo, la Yang ha scelto di dare a Owen ciò che ha sempre desiderato: un matrimonio, dei figli, una famiglia felice che non lascia però spazio per la carriera. Nel secondo, Cristina ha invece scelto il lavoro, portando avanti un rapporto indefinito e in bilico tra alti e bassi con Hunt, portando l’uomo sull’orlo di un precipizio, tra problemi di alcolismo e frustrazione.
Il messaggio, al termine dell’episodio, è tanto semplice, quanto doloroso: in nessun futuro, Cristina e Owen, possono stare insieme. Il loro legame, seppur profondo e sincero, non fa che ferire primo l’uno e poi l’altra. L’amore a volte non basta, e loro ne sono la dimostrazione lampante.
Inutile negarlo, la sfumatura sottile alla fine dell’episodio, è tutta dedicata al legame tra Cristina e Meredith. A un passo da intraprendere la strada per un futuro o piuttosto che per l’altro, Meredith irrompe sulla scena attirando l’attenzione di Cristina, mettendo in qualche modo in stand by il momento della sua scelta.
Meredith, la sua spalla, la sua cura, la sua àncora di salvezza.
L’unica, in entrambi i mondi paralleli, a restare fedele al suo fianco.
Fino alla fine, nonostante tutto.
Difficile trovare una nota dolente in questo episodio, il migliore della decima stagione finora. Nonostante ciò però, forse l’atteggiamento di Owen, è ciò che ci convince meno. Troppo arrendevole in ogni situazione quando al suo cospetto c’è Cristina. Troppo debole di fronte lei, troppo disponibile in ogni contesto. E forse proprio questo lato del suo carattere, lo rende incompatibile con la donna autoritaria e determinata che ha davanti.
Poche puntate ci separano dalla season finale, e ora non ci resta che aspettare, e scoprire quale destino porterà via Cristina da Seattle e quali ripercussioni, il suo addio, avrà sulle persone a lei più legate.
Su Meredith soprattutto. L'eterna amica. La sua metà.


mercoledì 2 aprile 2014

Girls: Two Plane Rides, recensione della season finale


CONTIENE SPOILER

E anche per quest’anno, Girls ci saluta. Per la terza volta, la season finale della stagione è dedicata alla coppia Hannah e Adam, per chiudere gli interrogativi lasciati aperti e lasciarci ancora una volta col fiato sospeso fino al prossimo anno.

Hannah riceve una notizia inaspettata: una scuola di scrittura creativa in Iowa ha accettato la sua richiesta d’iscrizione e presto, se vorrà, dovrà partire e lasciare New York per iniziare i corsi. A pochi minuti dalla prima a Broadway del Major Barbara, Adam viene a sapere della novità dalla stessa Hannah, insensibile di fronte alla reazione che lui potrebbe avere di fronte alla possibilità di un simile cambiamento. Inutile dire che, in seguito alla notizia, nonostante gli applausi in sala, la performance di Adam si rivela piuttosto sottotono rispetto alle prove. Questa, la goccia che fa traboccare il vaso: per Adam è troppo, meglio finirla qui, meglio interrompere la relazione. A fine serata, di ritorno a casa, la reazione di Hannah invece, è quella di stringere tra le mani la lettera della scuola dell’Iowa, con un sorriso sereno e soddisfatto sul volto.
Marnie confessa a Shosh di aver avuto una relazione con Ray, e ciò spinge la più giovane del gruppo, a confessare al ragazzo di rivolerlo indietro, di voler ricominciare con lui, dopo un anno trascorso distanti. Troppo tardi però, stavolta Ray è deciso a non tornare sui suoi passi. Duro colpo per Shosh, il secondo della giornata: poche ore prima, infatti, la notizia che non avrebbe potuto laurearsi in questo semestre.
Hannah Horvath e le sue mille sfaccettature.
Lei, che ogni giorno, dalla penna di Lena Dunham prende forme diverse.
Hannah così irritante, impertinente, esagerata.
Hannah egocentrica ed egoista, Hannah così vera.
Nel corso di tre stagioni l’abbiamo vista cambiare più volte, aprire il suo cuore all’amore, richiuderlo, riaprirlo. Tentarle tutte pur di sfondare nel mondo del lavoro, voltarsi indietro alla prima difficoltà per tornare con la coda tra le gambe al punto di partenza.
Perché Hannah è tutto questo: è una ragazza contradditoria, indisponente, piena di fragilità, nonostante tutto. Mai come in questa stagione l’abbiamo vista legata a qualcuno, mai così dipendente da un’altra persona, e fino all’ultimo momento, c’eravamo convinti che quella persona fosse Adam. Ma con Hannah è vero tutto e il contrario di tutto, e ancora una volta, in extremis, ha capovolto le nostre aspettative, ha spezzato il cuore dell’unica persona in grado di amarla totalmente, ed è tornata al punto di partenza.
Hannah ha scelto sé stessa, a dispetto di tutto e tutti e ha deciso di puntare tutto solo ed esclusivamente su di lei.
Difficilmente riusciremo a capire cosa avesse in mente la Dunham per il personaggio di Jessa in questa terza stagione, certo è che la scelta di lasciarla così tanto in disparte, anche nella season finale, ci ha convinti poco.
Che il personaggio interpretato da Jemima Kirke fosse un “outsider” tra le ragazze, lo sapevano già da un paio d’anni, ma la terza stagione ha trascurato fin troppo lo spazio dedicato a Jessa, sacrificando un potenziale su cui in molti sarebbero pronti a scommettere. Che Jessa sia il personaggio più controverso e antipatico della serie, non c’è alcun dubbio, che sia quello più interessante da sviluppare anche. Curioso che la sceneggiatrice le abbia dedicato così poco spazio, certo è che, per raccontare Hannah in tutte le sue sfaccettature, un taglio era necessario. Avremmo preferito che capitasse a Marnie, per quest’anno è andata così, non ci resta che sperare che la quarta stagione si concentri maggiormente su Jessa.
Shoshanna è rimasta in disparte per la maggior parte della stagione, saltando fuori però, sempre al momento giusto. Se in Beach House infatti, è riuscita a mettere a tacere le tre amiche in preda a una crisi isterica e a un litigio senza precedenti, in Role-Play è stata lei a prendere in mano le redini della vita di Jessa, per salvarla, in extremis, dalla droga.
È nella season finale però, che Shosh dà il meglio di sé stessa, proprio nel momento più difficile attraversato dal suo personaggio: dopo aver scoperto che non potrà laurearsi in questa sessione a causa di un esame arretrato, Marnie le racconta della sua storia con Ray. Ciò basta a scatenare in Shoshanna una susseguirsi di sentimenti contrastanti, che la spingono, alla fine, a dichiarare a Ray tutto il suo amore e la volontà, disperata, di tornare insieme con lui.
Poco importa in fondo, che Ray la respinga, ciò che conta è che, al termine di un anno bizzarro, trascorso tra storie di una notte e studio estenuante, Shosh stia tornando a essere la persona romantica, dolce e confusa che negli abbiamo imparato a conoscere e ad amare.
Consapevoli del fatto che con Hannah Horvath vale sempre tutto e il contrario di tutto, il dubbio maggiore resta proprio quello sulla scelta che prenderà in futuro. Sceglierà davvero di lasciare Adam a New York e trasferirsi in Iowa?
Di lasciarsi la sua vita e le sue amiche dietro le spalle per ricominciare daccapo in una nuova sconosciuta città? O per una volta ci stupirà e si rivelerà meno egoista del solito? 
Non ci resta che aspettare il prossimo anno per scoprirlo!

martedì 1 aprile 2014

The Walking Dead: commento alla season finale, "A", episodio 4x16


CONTIENE SPOILER

E anche per quest’anno, siamo giunti alla fine di The Walking Dead.
La stagione più discussa, più criticata, meno amata dalla maggior parte dei fan, accaniti e non, della serie. Una precisazione a questo punto è d’obbligo però: a essere sottoposta alle critiche, dai tanti detrattori (compresa la sottoscritta), è sostanzialmente la seconda metà della stagione.
Sulla prima parte, nonostante gli alti e i bassi, nulla da dire: sviluppata bene, approfondita quanto basta negli episodi dedicati al Governatore, notevole nella midseason finale, Too Far Gone, con l’assalto al carcere e la morte di Hershel.
La discesa, a mio avviso evidente, è iniziata con After, l’episodio trasmesso dopo il break durato oltre due mesi. Ciò che mi sento di recriminare allo show, non è la lentezza che tutti lamentano, tutt’altro. Quello è proprio uno degli aspetti che della serie ho sempre amato.
L’impressione generale è che, a furia di lavorare sull’introspezione dei personaggi, si sia perso un po’ il filo del discorso
La mancanza evidente di un leader, non me ne vogliano i fan di Rick, ma è così, si è fatta sentire.
Da un Daryl troppo in ombra in alcuni passaggi, a una Michonne rammollita e poco credibile nei panni di mamma chioccia per il piccolo e insopportabile Carl, fino ad arrivare alla dipartita di Hershel, e venuto a mancare il fulcro del gruppo cui eravamo (forse) fin troppo abituati. Perché se per alcuni episodi, hanno voluto farci credere che “ognuno combatte per sé”, il tempo ha completamente ribaltato questo concetto, dimostrando che, con l’acqua alla gola, nessuno riesce a stare solo, nessuno può sopravvivere da solo.
Dopo un susseguirsi di episodi pressoché privi di contenuto, scanditi solo da una sceneggiatura esile e poco convincente, la sferzata verso la season finale, l’ha data la terzultima puntata della stagione, The Grove: un episodio intenso, coraggioso, forse uno dei migliori dell’intera serie. La scelta di far morire Lizzie, una bambina sostanzialmente innocente, nonostante gli evidenti disturbi psicologici, ha dimostrato che il coraggio, agli autori non manca di certo. Negli ultimi anni, una scelta così audace, l’avevamo vista soltanto in Breaking Bad e ci aveva lasciato senza parole. In The Grove, l’effetto è stato simile: il finale della puntata, interpretata divinamente da Melissa McBride, è stato lacerante.
La season finale, come nelle migliori tradizioni delle serie tv, è stata un crescendo di pathos e attesa, e ci ha lasciato con un cliffhanger piuttosto interessante.
L’assenza di Rick, che fino a quel momento non si era sentita affatto, è servita a farci apprezzare un po’ di più il suo personaggio che, ancora una volta, sotto pressione, dà il massimo. Una serie di flashback ambientata mesi addietro nella prigione, è servita ad approfondire lo spaccato psicologico sui nostri protagonisti. È nuovamente Hershel a indicarci la via, un po’ come succedeva in Lost con John Locke. Esiste un momento in cui è necessario, per vivere in tranquillità, trovare una sorta di calma interiore, mettendo a tacere i nostri istinti e la nostra aggressività, nel tentativo di ammaestrarli e riuscire a conviverci. Parallelamente però, c’è anche il momento in cui reagire è d’obbligo, trasformarci in ciò che credevamo di non poter mai diventare, è fondamentale per sopravvivere. Per difendere le persone che amiamo, per restare a galla e per non annegare. E questo Rick, è in grado di dimostrarlo più di tutti, è innegabile. E se Daryl, personaggio da me amatissimo, oggi è diventato l’uomo che è, pronto a difendere il suo “branco”, a sacrificarsi per il gruppo, il merito è tutto colui che lo ha trasformato in un fratello: Rick.
Il viaggio, estenuante e faticoso dei protagonisti sui binari del treno per giungere a Terminus, ricorda per certi versi quello dei personaggi di Lost. Divisi in gruppi diversi, pronti a conoscere “gli Altri” seppur inconsapevoli di cosa gli riserverà il futuro, è solo l’ennesima somiglianza con la serie di J.J. Abrams.
Guardando a fondo, è facile notare alcune evidenti analogie tra le due serie, a volte leggere, altre volte piuttosto evidenti. Il viaggio introspettivo di ogni singolo protagonista, la paura per ciò che è “diverso” ma che inevitabilmente attrae, la fame di speranza, di redenzione, di salvezza. Il rapporto tra Daryl e Beth ricorda inevitabilmente quello tra Shannon e Sayd; la forza di Maggie, instancabile, autoritaria, coraggiosa, assomiglia sempre più a quella di Kate, e gli alti e bassi di Rick come leader indiscusso del gruppo, fanno pensare, con nostalgia, a Jack.

Il cliffhanger finale della quarta stagione lascia presagire una ripresa esplosiva, l’arrivo di nuovi personaggi ancora poco sviluppati, è un incentivo in più per proseguire con una serie che sì, una piccola battuta d’arresto l’ha subita, ma che nonostante tutto continua a collezionare ascolti incredibili per uno show trasmesso su una cable tv come la AMC.