There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

martedì 23 luglio 2013

Orange is the New Black: una serie con la "s" maiuscola




Negli ultimi giorni abbiamo parlato delle novità estive in onda in questo periodo negli States, da Mistresses US a Devious Maids, passando per The Bridge e altre che verranno.
Molti di noi stanno tentando il tutto per tutto per ingannare l’attesa prima della premiere di Breaking Bad, altri si distraggono con l’ultima, deludente, stagione di Dexter, altri ancora preferiscono concentrarsi su Under the Dome, il telefilm ispirato al celebre romanzo di Stephen King.
A volte poi, capita che la serie più interessante e originale dell’estate, resti in un angolo perché poco pubblicizzata. Io che non demordo mai e mi impegno ogni giorno nella folle ricerca della serie “del momento”, quella perfetta, super coinvolgente e appassionante come poche, penso di essere riuscita a centrare l’obiettivo anche stavolta con Orange is the new black.
Ve lo dirò ora, a inizio post, e cercherò di non ripetermi  nel corso dell’articolo per non essere ripetitiva: questa è, senza se e senza, la Serie dell’estate con la “s” maiuscola.
Lo show targato Netflix, è un prodotto di altissima qualità, scritto, girato e strutturato in maniera esemplare.
Un piccolo gioiello sotto tutti i punti di vista, destinato a durare parecchio tempo (il colosso dello streaming ha già rinnovato la serie per una seconda stagione).
Basato sul romanzo autobiografico di Piper Kerman, Orange Is the New Black: My Year in a Women's Prison, la serie creata da Jenji Kohan (Weeds) è una dramedy incredibilmente avvincente e accattivante.
I pregi dello show si notano sin dal pilot: nel corso dei 50 minuti, lo spettatore entra in contatto con la protagonista, Piper Chapman (Taylor Schilling), con alcuni frammenti del suo passato e col crudo presente cui deve relazionarsi: la vita dietro le sbarre.
La sensazione che si ha al termine di ogni episodio è di essere di fronte a una sceneggiatura encomiabile, e ogni volta non si vede l‘ora di scoprire cosa accadrà in futuro. Il legame tra la protagonista e lo spettatore s’instaura sin dai primi minuti, pregio che poche serie possono davvero vantare di avere.
Veniamo al plot: costretta a costituirsi per un crimine commesso dieci anni prima (non ancora caduto in prescrizione), ovvero l’aver trasportato una valigia di droga appartenente alla sua fidanzata dell’epoca, Alex (Laura Prepon), Piper ci porta con sé nei meandri di un carcere femminile, territorio ancora inesplorato dalla serialità americana.
Preoccupata per la lontananza con il fidanzato Larry (Jason Biggs), per la stagione di Mad Men in corso che non riuscirà a terminare e per i numerosi modelli di iPhone che si perderà mentre sconterà la sua pena (14 mesi), Piper fa il suo ingresso nell’istituto di correzione in un giorno di primavera, armata di forza e tanto coraggio.
Accolta con la frase “Qui non siamo a Oz”, la protagonista si troverà immediatamente di fronte a un mondo totalmente sconosciuto e ostico, fatto di bieche vendette personali, veterane agguerrite, novelline in cerca di supporto e ultima, in ordine temporale, Alex.
Nonostante Piper abbia cercato, da fuori, di “studiare” i meccanismi del carcere leggendo numerosi manuali prima di entrarvi per arrivare preparata, consigli, raccomandazioni e suggerimenti sembrano essere serviti davvero a poco.
Una frase sbagliata al momento sbagliato  il primo giorno, e per Piper inizia l’inferno…
Non voglio svelarvi di più, ma solo stuzzicare la vostra curiosità e spingervi a iniziare quest’avventura targata Netflix che davvero merita di essere vista.
Ironica e sagace, la serie non si sofferma solo su Piper, ma andando avanti con gli episodi, si concentra sulle sue compagne nella vita quotidiana del carcere, approfondendo le storie di ognuna di loro, tante facce di una stessa medaglia, tutte diverse, tutte affascinanti
Pur parlando di donne, Orange is the new black non è affatto una serie “femminile”, non solo perché lo fa con una comicità e un’intensità capaci di metter d’accordo un pubblico eterogeneo, ma anche perché l’universo maschile, seppur in maniera meno evidente, è comunque ben presente nella struttura della trama e fondamentale ai fini della storia.
A metà strada tra il drama e la comedy, lo show di Kohan, alterna momenti di spiccata e amara ilarità ad altri molto più intensi e delicati, che indagano sulla psicologia di ogni singolo personaggio dando vita a un’incredibile storia corale dove ognuno è artefice del proprio destino.

giovedì 18 luglio 2013

The Bridge: do not cross the line



Per tutti gli appassionati del genere crime, l’appuntamento è stasera alle 21.00 su canale 117 di Sky (Fox Crime) con The Bridge.
Remake di Bron (2011), serie dano-svedese ideata da Hans Rosenfeldt, The Bridge è trasmessa negli Stati Uniti dalla rete via cavo FX ed è composta da 13 episodi, sviluppati da Meredith Stiehm, Elwood Reid
Oltreoceano, la première di stagione ha ottenuto 3 milioni di spettatori, risultato che lascia ben sperare per il futuro dello show.
Al centro di The Bridge, un confine, quello tra Messico e Stati Uniti, rappresentato nel pilot dal ponte che separa El Paso e Chihuahua e da un omicidio che implica le indagini da parte di due detective appartenenti ai due diversi Stati, Sonya Cross (Diane Kruger) e Marco Ruìz (Demian Bichir).
Da una parte quindi l’America, paese di sogni e di speranze, terra dalle mille opportunità, dove il crimine viene combattuto giorno dopo giorno con fatica e dedizione.
Dall’altra il Messico, qui rappresentato come il sordido covo della criminalità, dove la popolazione sogna un vita migliore e auspica di superare, prima o poi, quel confine, quell’angolo dimenticato dal resto del mondo, dove si aggirano trafficanti di droga e di organi, prostitute e altri loschi personaggi.
Due mondi agli antipodi, totalmente diversi l’uno dall’altro seppur così vicini.
Obiettivo del serial killer cui Sonya e Marco dovranno dare la caccia, è proprio quello, a quanto pare, di mettere in evidenza le profonde differenze che intercorrono tra i due diversi mondi.
Su quel ponte che dà il nome alla serie, i detective ritrovano così due parti di due diversi cadaveri, quello di un giudice americano e quello di una prostituta messicana.
Il dualismo che ripercorre con prepotenza l’intera serie, si riversa anche sulla profonda diversità dei due detective coinvolti.
Da una lato infatti Marco, 
coi suoi modi sciolti e disinibiti, sembra disposto a superare il limite e venire meno alle regole laddove necessario; dall’altro Sonya, che opera in maniera rigorosa e distaccata, fredda e precisa come un chirurgo, nonostante soffra di una malattia complicata, la sindrome di Asperger, che pare però non compromettere minimamente il suo modo di indagare e risolvere i crimini.
Due detective, due Stati, due giurisdizioni completamente diversi, che si trovano improvvisamente costretti a dover collaborare tra loro per fermare l’efferato assassino del Ponte, in un’atmosfera cupa e misteriosa, in un mondo corrotto e pericoloso.
Sonya e Marco sono due facce della stessa medaglia, che condividono un obiettivo comune a cui però, si approcciano in maniera differente e intrinsecamente complementare.
Un perla estiva dedicata a tutti gli amanti del genere, imperdibile se si è dei veri intenditori del crime.




lunedì 15 luglio 2013

Addio a Cory Monteith e al mitico Tonino Accolla


Lo ricorderemo sempre come il buon Finn Hudson, ragazzone tutto muscoli e cuore d’oro di Glee:
impossibile dimenticare il suo sguardo cristallino, il sorriso contagioso e quell’inconfondibile aria da bravo ragazzo.
Il protagonista di Glee, Cory Monteith, 31 anni, è stato trovato morto ieri in una stanza al ventunesimo piano dell’hotel Pacific Rim di Vancouver, Canada. 
Difficile trovare le parole giuste in questi casi, tutto suonerebbe retorico e melenso. 
Impossibile non dedicare un pensiero a Lea Michele, fidanzata dell'attore nella realtà nonché sua partner nella fortuna serie di Ryan Murphy.
Addio Cory.




Giornata tristissima, quella di ieri, anche nel panorama artistico italiano. 
A lasciare un grandissimo vuoto, Tonino Accolla, celebre doppiatore nato a Siracusa nel 1949, una delle voci più rappresentative del nostro Paese.
Diventato famoso per aver doppiato star internazionali del calibro di Eddie Murphy, Ben Stiller e Billy Crystal e indimenticabile per aver dato la voce, dalle origini a oggi, a Homer Simpson, Tonino si è spento ieri, all’età di 64 anni, dopo una lunga malattia.
Oggi voglio ricordarlo così, mentre cantava una serenata telefonica a Meg Ryan in Harry ti presento Sally. 




lunedì 8 luglio 2013

Chef Rubio: unto e bisunto, ma con stile



Il food ha invaso la tv: ovunque guardi, trovi un programma di cucina ad aspettarti. 
Tra un’ossessione insolita, un matrimonio da organizzare, un look da rifare o un bambino pestifero da tenere a bada, la televisione è diventata la vetrina ideale per mostrare piatti della tradizione culinaria di tutto il mondo.
Tutto iniziò qualche anno fa con l’inimitabile Gordon Ramsay che con il suo Hell’s Kitchen prima e Masterchef poi, ha dato il via a un vera e propria moda, sfociata in Cucine da Incubo, e il successivo spinoff dedicato agli Hotel.
In Italia c’è voluto tempo perché la moda del food invadesse la tv: agli albori c’erano Cortesie per gli ospiti e L’Ost, Cuochi e fiamme e altri programmi meno conosciuti, fino ad arrivare a La prova del cuoco della Clerici e alle rubriche di Benedetta Parodi, l’idolo delle casalinghe nostrane.
Negli ultimi due anni, il proliferare di programmi dedicati al food è cresciuto a vista d’occhio, non solo Masterchef in tutte le sue varianti (Australia, inghilterra, India), ma una quantità inestimabile di show più o meno divertenti e interessanti dedicati al cibo, da Eat Street a Man vs. Food, da I ristoranti più pazzi del mondo fino a Orrori da gustare con il mitico Andrew Zimmern.
L’incredibile successo di Mastechef Italia poi, non ha fatto che alimentare la “febbre da food”, spostando però l’attenzione dalla cucina più “popolare” a quella più modaiola, complici i giudici coinvolti, cuochi rinomati di ristoranti per lo più inaccessibili.
È giunta però l’ora di dire basta agli chef stellati, ai loro piatti scarni e scenografici al dubbio gusto e dal nome altezzoso.
È arrivato il momento di smetterla di riempirsi la bocca con pietanze quasi impossibili da realizzare o che costano un occhio della testa, come la cipolla glassata di Oldani, l’uovo di Cracco o le tagliatelle al gratin di Barbieri.
Bisogna iniziare a mangiare seriamente.
Se già un piccolo passo avanti è stato fatto con la versione nostrana di Cucine da Incubo e lo chef Antonino Cannavacciuolo (il suo “addios” è ormai un tormentone), più concreto e senza dubbio meno snob dei suoi colleghi più famosi, il vero passo avanti può compierlo solo il nuovo programma di Dmax, Unti e Bisunti.

Dimenticate il fare altezzoso di Oldani, lo sguardo di ghiaccio di Cracco o il cinismo di Joe Bastianich e preparatevi a conoscere Gabriele Rubini alias Chef Rubio, che vi trascinerà tra lo street food più calorico e ricco di grassi che ci sai. Unto e bisunto, per l'appunto.
Baffi alla Salvador Dalì, look hipster che più hipster non si può, tatuaggi (splendidi) che gli ricoprono braccia, collo e dita, accento romanesco e sguardo beffardo: questo è Rubio
Un cuoco anomalo, diverso da tutti gli altri, senza dubbio eccentrico (quale chef non lo è?), simpatico come pochi, e perché no, anche parecchio affascinante.
È l’altra faccia del food, quella più verace, sfiziosa, corposa. Rubio è l’anti “finger food” anche se lui con le dita ci mangia nel vero senso della parola.
Al diavolo ostriche e ingredienti esotici, lui sfida la tradizione: il fritto alla romana, il panino con la milza palermitano, il cacciucco livornese, le rane in umido che cucinano a Bologna.
Rubio i cuochi li sfida per e strade italiane, da Nord a Sud, tra pentole incrostate, e friggitrici belle unte e taglieri sporchi di grasso.
Mangia con le mani e se ne frega se gli resta incastrato un pezzetto di cibo tra i denti, al massimo ci beve su un goccio di birra per digerire meglio, o spruzza sulle pietanze un po’ di limone perché “sgrassa”.
Masticazione accentuata, fare provocatorio, sguardo furbetto: lo Chef Rubio non è solo “chiacchiere e distintivo”, lui le mani, a differenza di molti suoi colleghi, se le sporca davvero, ma lo fa con stile. 
Uno stile davvero unico se vogliamo.
Nulla è casuale in Unti e Bisunti, e nonostante la parvenza “popolana”, Rubio ha fascino da vendere.