There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

martedì 1 aprile 2014

The Walking Dead: commento alla season finale, "A", episodio 4x16


CONTIENE SPOILER

E anche per quest’anno, siamo giunti alla fine di The Walking Dead.
La stagione più discussa, più criticata, meno amata dalla maggior parte dei fan, accaniti e non, della serie. Una precisazione a questo punto è d’obbligo però: a essere sottoposta alle critiche, dai tanti detrattori (compresa la sottoscritta), è sostanzialmente la seconda metà della stagione.
Sulla prima parte, nonostante gli alti e i bassi, nulla da dire: sviluppata bene, approfondita quanto basta negli episodi dedicati al Governatore, notevole nella midseason finale, Too Far Gone, con l’assalto al carcere e la morte di Hershel.
La discesa, a mio avviso evidente, è iniziata con After, l’episodio trasmesso dopo il break durato oltre due mesi. Ciò che mi sento di recriminare allo show, non è la lentezza che tutti lamentano, tutt’altro. Quello è proprio uno degli aspetti che della serie ho sempre amato.
L’impressione generale è che, a furia di lavorare sull’introspezione dei personaggi, si sia perso un po’ il filo del discorso
La mancanza evidente di un leader, non me ne vogliano i fan di Rick, ma è così, si è fatta sentire.
Da un Daryl troppo in ombra in alcuni passaggi, a una Michonne rammollita e poco credibile nei panni di mamma chioccia per il piccolo e insopportabile Carl, fino ad arrivare alla dipartita di Hershel, e venuto a mancare il fulcro del gruppo cui eravamo (forse) fin troppo abituati. Perché se per alcuni episodi, hanno voluto farci credere che “ognuno combatte per sé”, il tempo ha completamente ribaltato questo concetto, dimostrando che, con l’acqua alla gola, nessuno riesce a stare solo, nessuno può sopravvivere da solo.
Dopo un susseguirsi di episodi pressoché privi di contenuto, scanditi solo da una sceneggiatura esile e poco convincente, la sferzata verso la season finale, l’ha data la terzultima puntata della stagione, The Grove: un episodio intenso, coraggioso, forse uno dei migliori dell’intera serie. La scelta di far morire Lizzie, una bambina sostanzialmente innocente, nonostante gli evidenti disturbi psicologici, ha dimostrato che il coraggio, agli autori non manca di certo. Negli ultimi anni, una scelta così audace, l’avevamo vista soltanto in Breaking Bad e ci aveva lasciato senza parole. In The Grove, l’effetto è stato simile: il finale della puntata, interpretata divinamente da Melissa McBride, è stato lacerante.
La season finale, come nelle migliori tradizioni delle serie tv, è stata un crescendo di pathos e attesa, e ci ha lasciato con un cliffhanger piuttosto interessante.
L’assenza di Rick, che fino a quel momento non si era sentita affatto, è servita a farci apprezzare un po’ di più il suo personaggio che, ancora una volta, sotto pressione, dà il massimo. Una serie di flashback ambientata mesi addietro nella prigione, è servita ad approfondire lo spaccato psicologico sui nostri protagonisti. È nuovamente Hershel a indicarci la via, un po’ come succedeva in Lost con John Locke. Esiste un momento in cui è necessario, per vivere in tranquillità, trovare una sorta di calma interiore, mettendo a tacere i nostri istinti e la nostra aggressività, nel tentativo di ammaestrarli e riuscire a conviverci. Parallelamente però, c’è anche il momento in cui reagire è d’obbligo, trasformarci in ciò che credevamo di non poter mai diventare, è fondamentale per sopravvivere. Per difendere le persone che amiamo, per restare a galla e per non annegare. E questo Rick, è in grado di dimostrarlo più di tutti, è innegabile. E se Daryl, personaggio da me amatissimo, oggi è diventato l’uomo che è, pronto a difendere il suo “branco”, a sacrificarsi per il gruppo, il merito è tutto colui che lo ha trasformato in un fratello: Rick.
Il viaggio, estenuante e faticoso dei protagonisti sui binari del treno per giungere a Terminus, ricorda per certi versi quello dei personaggi di Lost. Divisi in gruppi diversi, pronti a conoscere “gli Altri” seppur inconsapevoli di cosa gli riserverà il futuro, è solo l’ennesima somiglianza con la serie di J.J. Abrams.
Guardando a fondo, è facile notare alcune evidenti analogie tra le due serie, a volte leggere, altre volte piuttosto evidenti. Il viaggio introspettivo di ogni singolo protagonista, la paura per ciò che è “diverso” ma che inevitabilmente attrae, la fame di speranza, di redenzione, di salvezza. Il rapporto tra Daryl e Beth ricorda inevitabilmente quello tra Shannon e Sayd; la forza di Maggie, instancabile, autoritaria, coraggiosa, assomiglia sempre più a quella di Kate, e gli alti e bassi di Rick come leader indiscusso del gruppo, fanno pensare, con nostalgia, a Jack.

Il cliffhanger finale della quarta stagione lascia presagire una ripresa esplosiva, l’arrivo di nuovi personaggi ancora poco sviluppati, è un incentivo in più per proseguire con una serie che sì, una piccola battuta d’arresto l’ha subita, ma che nonostante tutto continua a collezionare ascolti incredibili per uno show trasmesso su una cable tv come la AMC.

3 commenti:

Antonella ha detto...

Complimenti, ottima recensione. La condivido in pieno!

Antonella ha detto...

Complimenti, ottima recensione. La condivido in pieno!

Stargirl ha detto...

Grazie mille Antonella! :)