Pat (Bradley Cooper) e
Tiffany (Jennifer Lawrence) si conoscono durante una cena imbarazzante e surreale
organizzata dal miglior amico di lui, infelicemente sposato con una donna arida
e dispotica, sorella di lei.
Pat ha perso il controllo
qualche mese prima, accecato dalla gelosia e dalla paranoia, a causa di un
disturbo bipolare che lo ha costretto in una clinica psichiatrica per otto
lunghi mesi.
Tiffany ha perso il marito in
un tragico incidente tempo addietro, proprio mentre stavano attraversando un
periodo di forte crisi, motivo che la spinge giorno dopo giorno a sentirsi
colpevole e annebbiata dai sensi di colpa.
Pat e Tiffany sono due anime
in pena, alla deriva che aspirano solo e soltanto a un pizzico di
tranquillità e stabilità emotiva e affettiva.
E mentre Pat ce la mette
tutta per scovare il “lato positivo” in ogni situazione, Tiffany dal canto suo
si butta anima e cuore in una gara di ballo in cui sa già che fallirà, ma che
la aiuta a tenere la mente occupata nel vano tentativo di ritrovare quella stabilità
necessaria per ricominciare a vivere.
I due protagonisti di Silver
Linings Playbook, tragicommedia
romantica di David O. Russel (The Fighter) che esula dal genere per scontrarsi
coi drammi della vita “vera”, si incontrano, si scontrano e inevitabilmente si
innamorano in un gioco di tira e molla sì forse un po’ estenuante, ma
necessario per rimarcare laddove necessaria, l’instabilità di entrambi.
Nel
corso di una gara di ballo che assume via via un significato molto più profondo
di quello apparente, e che arriva a simboleggiare addirittura una sfida con la
vita stessa, Pat e Tiffany non aspirano alla vittoria, non vogliono essere i
primi, i più bravi o i più fortunati: vogliono solo partecipare per dimostrare
a loro stessi prima che agli altri, di potercela fare, in un modo o nell’altro.
Seppur
a stento e con estrema fatica e forza di volontà, i due scelgono di prendere la
vita per le corna, di affrontarla anche a testa bassa, senza però arrendersi.
Non
è retorica, è realtà: perché forse è vero che spesso cercare “il
lato positivo” non serve a nulla, perché a volte neanche c’è ed è solo
un’illusione, ma è anche vero che spesso è la spinta necessaria che occorre a ognuno di noi per
andare avanti e continuare a credere che sì, forse un giorno tutto andrà
meglio.
Film
delizioso, per nulla melenso, nonostante l’inevitabile e prevedibile happy
ending. Ottima la performance di Bradley Cooper, finalmente in un ruolo che
esula dal solito belloccio aitante e ammiccante cui siamo abituati e
assolutamente perfetto nei panni del personaggio travagliato e confuso che
interpreta. Notevole anche la Lawrence, nonostante forse, l’Oscar come “miglior
attrice”, per una pellicola simile, non lo avrebbe in verità meritato.
Film da non perdere anche per uno strepitoso Robert De Niro nel ruolo del padre di Pat, scommettitore incallito perennemente in conflitto con la malattia di suo figlio. La regia, affidata a Russel, è asciutta, essenziale, per nulla dispersiva, arricchita da una sceneggiatura che scandaglia e approfondisce i personaggi con estrema profondità.
Film da non perdere anche per uno strepitoso Robert De Niro nel ruolo del padre di Pat, scommettitore incallito perennemente in conflitto con la malattia di suo figlio. La regia, affidata a Russel, è asciutta, essenziale, per nulla dispersiva, arricchita da una sceneggiatura che scandaglia e approfondisce i personaggi con estrema profondità.