There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

venerdì 9 gennaio 2009

Dive famose e star del grande schermo in bikini: dalle origini a oggi, la storia del costume da bagno nel cinema





Immaginate una spiaggia assolata, il sole cocente alto nel cielo, la sabbia tra le dita e l’acqua a rinfrescarvi la pelle… piacevole, vero?
Ecco, ora immaginate di vivere sì tutto questo, ma non con un succinto costumino dello stilista più trendy, bensì con una sottoveste lunga fino alle caviglie, uno stretto corsetto a togliervi il fiato, e una buffa cuffia di cotone pesante a proteggervi i capelli … poco piacevole, giusto?
Questo era pressappoco il tipico “abbigliamento” che fino al ‘900 le donne erano costrette ad indossare per andare al mare: dei veri e propri “vestiti da bagno”.
Nel 1904 il sarto francese Poiret provò ad imporsi proclamando a gran voce la fine di busti e corsetti da spiaggia ed eleggendo quest’ultima a luogo per eccellenza della trasgressione, ma servì a poco.
L’importanza per la tintarella e la libertà di movimento al mare prese piede “solo” nel 1920 con la trasgressiva Coco Chanel, che provocò un allarmismo generale accorciando i pantaloncini, ampliando le scollature e lasciando le braccia nude in tutti i suoi modelli estivi.
Ma la vera e propria rivoluzione in fatto di costumi da bagno avvenne soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale in concomitanza alla nascita del Divismo (soprattutto di stampo hollywoodiano), a dimostrazione del fatto che, cinema e moda, da sempre, conducono un cammino simile e parallelo, spesso influenzandosi a vicenda.
Già nel 1941 ne “La donna dai due volti”, l’affascinante Greta Garbo sconvolse il pubblico e i suoi fan indossando un costume a due pezzi: mutandine nere a vita alta e poco sgambate accompagnate ad un reggiseno di ugual colore fin troppo simile ad un pezzo di lingerie.
La svolta è senza ombra di dubbio il 1946, anno in cui nacque il Bikini, l’indumento da mare più famoso in tutto il mondo. Il nome deriva dalla similitudine attribuitagli dall’inventore Louis Réard: secondo lui infatti il costume avrebbe avuto lo stesso effetto devastante suscitato dalla bomba all’idrogeno sganciata sull’atollo Bikini nell’Oceano Pacifico pochi mesi prima.
La testimonial d’eccellenza, alla piscina Molitor di Parigi, fu la spogliarellista del casino de Paris, Micheline Bernardini, e proprio tale scelta contribuì ad aumentare il disdegno degli americani che gridarono allo scandalo.
Il nome di altre due “bombe” fu in breve tempo sulla bocca di tutti: quello di Brigitte Bardot e Marilyn Monroe, entrambe ritratte in alcune fotografie scattate sulle spiagge più alla moda di allora, con indosso l’oscuro oggetto del desiderio.

Le seguì a ruota la “sensuale Gilda” Rita Hayworth, che fece sognare milioni di fan esibendo succinti due pezzi qua e là, ma mostrandosi anche in tutta la sua incredibile bellezza con castigati costumi interi, come quello ne “La signora di Shangai”, film di e con il suo ex-marito Orson Wells.
Nel nostro paese, la prima a calcare le passerelle con l’accessorio di culto fu Lucia Bosè, che vinse Miss Italia nel 1947 proprio con l’ombelico scoperto. Tre anni dopo Sofia Loren si aggiudicò, con una mise simile, il premio “Miss Eleganza”.
La famosa nuotatrice Esther Williams, attrice in molti film musicali, rinomati per le coreografie acquatiche (celebre fu “Bellezze al bagno”), oppose resistenza e si rifiutò di indossare il bikini, preferendo una tenuta olimpionica di tutto punto a favorirle i movimenti. Ciò fu possibile fin quando le case di produzione non le imposero di rinunciarvi.
Il decennio ’40 – ‘50 rappresenta una chiave di volta: il modello a quadretti con reggiseno a balconcino indossato da BB in “E Dio creò la donna” (1958), le novità introdotte (quali Lastex stampato, Nylon e Lycra) per abbellire i modelli, l’arrivo del “Disco Volante” (il reggiseno senza bretelle) e la guaina “Sexy Form” (per sostenere le natiche) fecero sì che l’invenzione di Réard prese piede una volta per tutte.
Numerose case di moda americane come la Cole, la Jantzen e la Catalina fecero carte false per accattivarsi le attrici più in voga del momento come testimonial per sponsorizzare i loro nuovi esemplari in fatto di costumi da bagno: Bette Davis, la Monroe, la Hayworth, Grace Kelly e la Ekberg erano indubbiamente le più ambite.
Uno dei più osé, comunque, resterà quello indossato dalla bellissima Marisa Allasio nel ’56 nella commedia “Poveri ma Belli”, in cui vestiva i panni di Giovanna, commessa di sartoria, divisa tra l’amore per due bulli di Trastevere, interpretati da Maurizio Arena e Renato Salvatori.
Negli Stati Uniti, comunque, buona parte dell’opinione pubblica continuò a reclamare la sfrontatezza di alcuni attrici nell’esibire l’ormai famoso accessorio: diventati più aderenti e più leggeri, i bikini iniziavano davvero a lasciare scoperto ben più che qualche centimetro di pelle.
La maggioranza delle donne decise di acquistarlo per conquistare i propri uomini, per esibire il corpo scolpito o per semplice civetteria: ormai non era più un’esclusiva delle dive hollywoodiane, ma l’oggetto più ambito di qualsivoglia casalinga disperata.
Il costume intero però, non passò di moda e alcune tra le attrici di maggior successo, lo portarono con stile ed eleganza in numerose pellicole: Jane Russel ne sfoggiò uno nero incrociato sul davanti in “Femmina ribelle” (film sulla lotta di classe in cui recita nel ruolo della statuaria Mamie Stover), e la principessa Grace Kelly ne indossò più d’uno in “Caccia al ladro”. Questo giallo-rosa di Alfred Hitchcock che la vide protagonista al fianco di Cary Grant, le permise di esibirsi in tutta la sua bellezza e grazia con modelli interi a tinta unita neri o bianchi, lievemente scollati con un
semi-gonnellino a renderli ancora più casti, arricchiti da un turbante di egual colore ed occhiali da sole very vintage.
In America gli anni ’60 segnarono il trionfo dei surf-movie, film ambientati sulle spiagge californiane con numerose bellezze in bikini come protagoniste e musiche dei Beach Boys come sottofondo.
Tra le immagini più sexy del cinema d’oltreoceano, tre resteranno indimenticabili: la prima, la meravigliosa Ursula Andress diventata per l’occasione la bond-girl Honey Moon nel film “007 Licenza di uccidere” (1962), che esce dall’acqua con indosso un meraviglioso due pezzi bianco e cinturone con custodia porta coltello alla vita. Per seconda la mora Raquel Welch nella pellicola “One Million Years B.C.” (1966) con un completo in pelle strappata, e la terza, la stupenda Bo Derek in “10” del 1979 che emerge dalle onde con un costume intero color ocra e le perline tra i capelli.

Per quanto riguarda il cinema nostrano, invece, memorabile fu il bikini di Stefania Sandrelli nel 1961 in “Divorzio all’Italiana” al fianco di Marcello Mastroianni, e quello di Catherine Spaak nel celebre film di Dino Risi “Il Sorpasso” (1962). Quest’ultima, lo stesso anno, posò con un pudico costume nero intero ne “La voglia matta”, film di Luciano Salce con Ugo Tognazzi.
Il 1968, anno in cui molte donne bruciarono i reggiseni in piazza per rivendicare la propria emancipazione, rappresentò per le dive hollywoodiane un ulteriore stimolo alla ricerca di libertà ed indipendenza sessuale.
Da quel momento in poi, infatti, scomparirono tutti i freni inibitori e le attrici negli anni Settanta e Ottanta diedero libero sfogo alla loro voglia di apparire.
Nel 1972, secondo la “leggenda”, ad Ipanema, una spiaggia di Rio de Janeiro, la signora Rosa di Primo, brasiliana di origini italiane, indossò il primo costume a Tanga, evoluzione del bikini.
Ci volle poco tempo affinché la nuova moda dilagasse sulle spiagge di tutto il mondo nonostante l’iniziale incertezza dimostrata in Europa.
Il passaggio successivo fu il Topless (oggi rinominato Monokini), ed in poco tempo numerose varianti del modello originario spopolarono in tutto il globo.
Le starlette di casa nostra non si vergognarono di mostrarsi “come mamma le ha fatte”, e nelle commedie all’italiana con Edwige Fenech ne abbiamo ulteriore riprova.
In ambito cinematografico moderno, dive italiane e straniere, non esitano ad esporsi con bikini sempre più succinti o con costumi davvero quasi invisibili: è così che, dai fanciulleschi due pezzi indossati dalla giovanissima Isabella Ferrari in “Sapore di mare” (1982), ai film dei fratelli Vanzina che hanno come protagoniste attrici formose e sensuali spesso in topless, il passo è breve.

Ad Hollywood, nel recente passato, diverse rivisitazioni di alcuni film hanno riaperto le porte al costume da bagno nel cinema: cominciando da Halle Berry in “007 La Morte può attendere”(2002), in cui l’attrice premio Oscar riemerge dalle acque avvolta da uno stupendo bikini arancione con cinturone con coltello al seguito, omaggiando così la già citata Ursula Andress. A seguire è la volta del remake cinematografico di “Charlie’s Angels” (2003) in cui Cameron Diaz si ispira fortemente al look di Tanja Roberts, uno degli angeli originali degli anni Settanta.
E tra le stelle che di recente hanno sbancato ai botteghini come dimenticare la sexy Jessica Alba in “Into the Blue” ?
Passando dal grande al piccolo schermo una citazione d’obbligo la merita indubbiamente Pamela Anderson nel longevo telefilm “Baywatch”: nel ruolo della bagnina C.J. Parker, infatti, fece sognare milioni di adolescenti in tutto il mondo correndo in soccorso del malcapitato di turno, stretta nel suo costume rosso che lasciava ben poco all’immaginazione.
Al giorno d’oggi, al cinema come sulle spiagge di tutto il mondo, il nudo integrale senza più inibizioni impazza, e se nel 1946 la stampa americana titolava: “Il Bikini è un costume in due pezzi che rivela ogni cosa di una ragazza…tranne il nome da nubile di sua mamma”, chissà oggi che cosa direbbero….

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