Difficilmente si può
giudicare una serie solo dal pilot, nella maggior parte dei casi, occorrono
almeno 4 o 5 episodi per tirare le somme, questo è certo.
E se già l’impresa è complicata per i drama, per le comedy diventa ancor più ardua, sia per la breve durata della puntata, sia perché riuscire a commuovere, spaventare o emozionare lo spettatore è molto più semplice che non riuscire a farlo ridere.
Spinta da queste premesse e dalla presenza di Sophia Bush (Brooke in One Tree Hill) nel cast, ho deciso a monte di andarci giù leggera con Partners, ma dopo aver visto i primi due episodi, mi trovo a dovermi tristemente ricredere.
Ideata da David Kohan e Max Mutchnick, creatori di Will&Grace e in onda sulla CBS, la sitcom si avvale di un cast molto noto sul piccolo schermo seppur, alla fine dei conti, per nulla convincente.
La Bush interpreta Ali, fidanzato dell’architetto Joe, cui presta il volto David Krumholtz, protagonista di Numb3rs e recentemente apparso in The Newsroom.
Nei panni di Louis, il migliore amico di Joe sin dai tempi dell’asilo, Michael Urie (celebre per il ruolo del civettuolo Mark nell’indimenticabile Ugly Betty), anche lui architetto e fidanzato con Wyatt, Brandon Routh che interpretò il cattivo Daniel Shaw in Chuck.
Il cast almeno all’inizio promette davvero bene, su questo non ci piove, ma il primo limite, la comedy lo riscontra laddove non riesce minimamente a discostarsi da Will&Grace in alcun passaggio.
Partners infatti, sin dai primi minuti, ricorda inevitabilmente la serie con Debra Messing, dal punto di vista dei personaggi, dei dialoghi, dello humour e delle situazioni nelle quali i protagonisti si ritrovano.
Non fa ridere, non comunica nulla, non convince e se proprio dobbiamo dirla tutta, alla lunga (e su 20 minuti di durata è alquanto grave) annoia anche. Routh è inespressivo e piatto come suo solito (Dylan Dog ancora ringrazia) la Bush e Urie troppo, troppo simili ai personaggi interpretati nelle serie che li han resi famosi.
L’unico che vediamo rapportarsi con una situazione “nuova” a tutti gli effetti, è Krumholtz, ma da solo di certo non basta a dar spessore a una sitcom della quale il palinsesto televisivo avrebbe potuto tranquillamente fare a meno.
E se già l’impresa è complicata per i drama, per le comedy diventa ancor più ardua, sia per la breve durata della puntata, sia perché riuscire a commuovere, spaventare o emozionare lo spettatore è molto più semplice che non riuscire a farlo ridere.
Spinta da queste premesse e dalla presenza di Sophia Bush (Brooke in One Tree Hill) nel cast, ho deciso a monte di andarci giù leggera con Partners, ma dopo aver visto i primi due episodi, mi trovo a dovermi tristemente ricredere.
Ideata da David Kohan e Max Mutchnick, creatori di Will&Grace e in onda sulla CBS, la sitcom si avvale di un cast molto noto sul piccolo schermo seppur, alla fine dei conti, per nulla convincente.
La Bush interpreta Ali, fidanzato dell’architetto Joe, cui presta il volto David Krumholtz, protagonista di Numb3rs e recentemente apparso in The Newsroom.
Nei panni di Louis, il migliore amico di Joe sin dai tempi dell’asilo, Michael Urie (celebre per il ruolo del civettuolo Mark nell’indimenticabile Ugly Betty), anche lui architetto e fidanzato con Wyatt, Brandon Routh che interpretò il cattivo Daniel Shaw in Chuck.
Il cast almeno all’inizio promette davvero bene, su questo non ci piove, ma il primo limite, la comedy lo riscontra laddove non riesce minimamente a discostarsi da Will&Grace in alcun passaggio.
Partners infatti, sin dai primi minuti, ricorda inevitabilmente la serie con Debra Messing, dal punto di vista dei personaggi, dei dialoghi, dello humour e delle situazioni nelle quali i protagonisti si ritrovano.
Non fa ridere, non comunica nulla, non convince e se proprio dobbiamo dirla tutta, alla lunga (e su 20 minuti di durata è alquanto grave) annoia anche. Routh è inespressivo e piatto come suo solito (Dylan Dog ancora ringrazia) la Bush e Urie troppo, troppo simili ai personaggi interpretati nelle serie che li han resi famosi.
L’unico che vediamo rapportarsi con una situazione “nuova” a tutti gli effetti, è Krumholtz, ma da solo di certo non basta a dar spessore a una sitcom della quale il palinsesto televisivo avrebbe potuto tranquillamente fare a meno.
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