Che io non
ami le comedy è un fatto ormai risaputo sia per chi mi conosce nella vita
“vera” sia per chi ha imparato a conoscermi in quella “online”.
Sono una “humorless” di prima categoria, inutile negarlo: la battuta mi piace, mi riesce anche bene, ma con le serie americane difficilmente mi lascio travolgere da fiumi di risate (piangere con un telefilm, quello sì che invece mi riesce benissimo).
Come già ripetuto parecchie volte, poche sono le sitcom che sono riuscite a strapparmi qualche sorriso in questi anni, How I Met Your Mother e 2 Broke Girls per esempio ce l’hanno fatta, ma le risate vere e proprie no, quelle ha il merito di averle suscitate in me soltanto Friends.
Tra le numerose comedy che hanno debuttato in questi giorni, personalmente sono costretta a bocciare a pieni voti The Goldbergs, Trophy Wife, Back in the Game, We Are Men e Dads.
Differente il mio giudizio su due sitcom che la maggior parte di noi quest’anno aspettava con ansia visti i due protagonisti al centro delle storie: Robin Williams in The Crazy Ones e Micheal J. Fox nell’omonimo show a lui dedicato.
Sono una “humorless” di prima categoria, inutile negarlo: la battuta mi piace, mi riesce anche bene, ma con le serie americane difficilmente mi lascio travolgere da fiumi di risate (piangere con un telefilm, quello sì che invece mi riesce benissimo).
Come già ripetuto parecchie volte, poche sono le sitcom che sono riuscite a strapparmi qualche sorriso in questi anni, How I Met Your Mother e 2 Broke Girls per esempio ce l’hanno fatta, ma le risate vere e proprie no, quelle ha il merito di averle suscitate in me soltanto Friends.
Tra le numerose comedy che hanno debuttato in questi giorni, personalmente sono costretta a bocciare a pieni voti The Goldbergs, Trophy Wife, Back in the Game, We Are Men e Dads.
Differente il mio giudizio su due sitcom che la maggior parte di noi quest’anno aspettava con ansia visti i due protagonisti al centro delle storie: Robin Williams in The Crazy Ones e Micheal J. Fox nell’omonimo show a lui dedicato.
Partiamo da
una premessa: né con la prima né con la seconda ho riso a crepapelle, tutt’altro,
e nonostante la serie con l’ex interprete di Casa Keaton sia riuscita a strapparmi due o tre sorrisi, quella con
Williams non ce l’ha proprio fatta ad avere la meglio su di me.
Detto ciò,
non me la sento di bocciare The Crazy
Ones fosse anche solo per l’ottimo cast che fa da spalla all’istrionico
Robin che qui interpreta Simon Roberts, titolare di un’agenzia pubblicitaria di
Chicago presso cui lavorano anche sua figlia Sydney (una Sarah Michelle Gellar in
splendida forma) e un piccolo di team di giovani creativi: Lauren (Amanda
Setton), Zach (James Walk) e Andrew (Hamish
Linklater).
Ideata da David E. Kelley e in onda sulla CBS, la serie non brilla certo per originalità, poggiandosi essenzialmente al rapporto padre-figlia tra Williams e la Gellar e le loro piccole diatribe quotidiane all’interno dell’agenzia, dovute principalmente a incomprensioni generazionali e alla repentina perdita di autostima di Simon, in crisi di mezza età.
Al cast, si affiancheranno guest star d’eccezione e già nel pilot troverete Kelly Clarkson nei panni di sé stessa chiamata dallo stravagante personaggio interpretato da Williams per cantare il jingle per una pubblicità di McDonald’s.
L’umorismo ricercato e sofisticato dell’attore de L’Attimo Fuggente è senza dubbio irresistibile e vale da solo l’intera serie, così come la presenza della Gellar farà felici orde di fan di Buffy che, dopo il deludente ritorno della loro eroina in Ringer, potranno ammirarla ora in un ruolo totalmente agli antipodi rispetto a quello cui erano abituati.
Ideata da David E. Kelley e in onda sulla CBS, la serie non brilla certo per originalità, poggiandosi essenzialmente al rapporto padre-figlia tra Williams e la Gellar e le loro piccole diatribe quotidiane all’interno dell’agenzia, dovute principalmente a incomprensioni generazionali e alla repentina perdita di autostima di Simon, in crisi di mezza età.
Al cast, si affiancheranno guest star d’eccezione e già nel pilot troverete Kelly Clarkson nei panni di sé stessa chiamata dallo stravagante personaggio interpretato da Williams per cantare il jingle per una pubblicità di McDonald’s.
L’umorismo ricercato e sofisticato dell’attore de L’Attimo Fuggente è senza dubbio irresistibile e vale da solo l’intera serie, così come la presenza della Gellar farà felici orde di fan di Buffy che, dopo il deludente ritorno della loro eroina in Ringer, potranno ammirarla ora in un ruolo totalmente agli antipodi rispetto a quello cui erano abituati.
Altro
discorso per The Micheal J. Fox Show
che, opinioni da “humorless” a parte, merita davvero di essere visto perché sì,
dobbiamo ammetterlo: Micheal J. Fox è un mito. Assoluto.
Se lo avete adorato negli anni Ottata e Novanta, se conoscete a memoria tutti capitoli di Ritorno al Futuro o Voglia di Vincere, se avete esultato a ogni sua piccola apparizione in tv, da Scrubs a The Good Wife, da Curb Your Enthusiasm a Rescue Me, questa è la comedy che fa per voi: una sorta di biografia dell’attore in cui non ci si limita a raccontare della terribile malattia che lo ha colpito anni fa, ma si descrive anche il punto di vista di chi vive questa condizione insieme a lui, ogni giorno: la sua famiglia.
Ideata da Sam Laybourne e scritta a quattro mani con lo sceneggiatore Alex Reid, la comedy si ispira alla vita di Michael per raccontare le vicissitudini di Mike Henry, ex giornalista newyorkese che decide di tornare in tv dopo aver smesso di condurre il suo show mesi prima a causa del Parkinson, incoraggiato dalla moglie Annie (Betsy Brandt di Breaking Bad), dai suoi tre figli e dalla sorella Leigh (Katie Finneran).
Attraverso un umorismo irriverente e a tratti cinico, Michael J. Fox mette in luce piccoli particolari della vita di un malato di Parkinson capaci di compromettere le più semplici azioni chiamate in gioco nella vita quotidiana, dall’aprire un barattolo di sottaceti fino a comporre il giusto numero telefonico sulla tastiera del telefono.
È una sitcom dal retrogusto amaro quella che ci troviamo di fronte, capace di farci sorridere di fronte a una malattia (The Big C docet), ma allo stesso tempo perfettamente in grado di fornirci spunti di riflessione e momenti commoventi.
Ciò che risulta più complicato, dopo aver visto il pilot, è capire come una serie del genere possa reggere per 22 episodi se non addirittura per una seconda stagione (anche se gli ascolti delle prime due puntate trasmesse sulla NBC, ahimè non promettono certo bene).
Se lo avete adorato negli anni Ottata e Novanta, se conoscete a memoria tutti capitoli di Ritorno al Futuro o Voglia di Vincere, se avete esultato a ogni sua piccola apparizione in tv, da Scrubs a The Good Wife, da Curb Your Enthusiasm a Rescue Me, questa è la comedy che fa per voi: una sorta di biografia dell’attore in cui non ci si limita a raccontare della terribile malattia che lo ha colpito anni fa, ma si descrive anche il punto di vista di chi vive questa condizione insieme a lui, ogni giorno: la sua famiglia.
Ideata da Sam Laybourne e scritta a quattro mani con lo sceneggiatore Alex Reid, la comedy si ispira alla vita di Michael per raccontare le vicissitudini di Mike Henry, ex giornalista newyorkese che decide di tornare in tv dopo aver smesso di condurre il suo show mesi prima a causa del Parkinson, incoraggiato dalla moglie Annie (Betsy Brandt di Breaking Bad), dai suoi tre figli e dalla sorella Leigh (Katie Finneran).
Attraverso un umorismo irriverente e a tratti cinico, Michael J. Fox mette in luce piccoli particolari della vita di un malato di Parkinson capaci di compromettere le più semplici azioni chiamate in gioco nella vita quotidiana, dall’aprire un barattolo di sottaceti fino a comporre il giusto numero telefonico sulla tastiera del telefono.
È una sitcom dal retrogusto amaro quella che ci troviamo di fronte, capace di farci sorridere di fronte a una malattia (The Big C docet), ma allo stesso tempo perfettamente in grado di fornirci spunti di riflessione e momenti commoventi.
Ciò che risulta più complicato, dopo aver visto il pilot, è capire come una serie del genere possa reggere per 22 episodi se non addirittura per una seconda stagione (anche se gli ascolti delle prime due puntate trasmesse sulla NBC, ahimè non promettono certo bene).
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