“…è tutto sedimentato sotto il
chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la
paura. Gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore
disgraziato e l’uomo miserabile”.
Forse se provassimo a tacere, a fermarci un attimo
a riflettere, a smetterla di lamentarci o piangerci addosso, lo capiremmo anche
noi.
Sotto il chiacchiericcio c’è la vita, che
troppo spesso ci dimentichiamo di vivere.
Sotto il rumore invece, ci sono i sogni
infranti, barattati per un pizzico di deplorevole fama.
Sotto il silenzio e il sentimento, le nostre
ambizioni disintegrate dall’inesauribile desiderio di apparire importanti, famosi, convincenti, agli occhi di chi poi, nessuno lo sa.
Sotto l’emozione e la paura resta ciò che
eravamo, il nostro passato, il coraggio che non c’è più, la nostalgia, l’unica
vera alleata di chi teme il futuro e ciò che verrà.
Dietro tutti questi rimpianti, dietro
l’amarezza, la rassegnazione, la disperazione, c’è “la grande bellezza”.
È lì, anche se nessuno lo sa, anche se nessuno
la vede.
È lì che aspetta ognuno di noi, ma non tutti
la meritano.
Molti addirittura se ne andranno senza averla
nemmeno sfiorata.
Tanti, o almeno tutti quelli disposti a
vendere l’anima al diavolo per colmare la loro fame di successo, sarebbero
disposti a barattarla per cinque minuti di celebrità.
Sorrentino lo sa bene, e ci sbatte
letteralmente in faccia questa verità assoluta per tutti i 140 minuti de “La
Grande Bellezza”, con prepotenza, nonostante i virtuosismi visivi e il
montaggio perfettamente fluido.
Arrogante? Un po’.
Ridondante? Parecchio, soprattutto quando
cerca di rimarcare il concetto, ma ben venga in quest’epoca di totale
decadimento dei valori e dei capisaldi della nostra società, meno male che
qualcuno tenti di scuoterci un po’.
Il risultato? Alla fine del film, circondati
dal buio della sala e dal silenzio, molti di voi saranno sicuramente rimasti
come la sottoscritta, imbambolati e turbati, a fissare i titoli di coda e le
immagini finali, rapiti dalla musica in sottofondo, confusi, spaesati, ancor
meno ottimisti di prima.
Paolo Sorrentino compie un viaggio lugubre e
desolante nella società di oggi, nei meandri di Roma, città a tratti silenziosa
e deserta, a tratti chiassosa e invadente, fin dentro i suoi giardini eleganti,
nelle chiese, nelle ville di periferia, negli attici di fronte al Colosseo.
È la capitale, ma potrebbe essere qualsiasi
altra città italiana.
Sotto certi aspetti è ancora la Roma raccontata
da Federico Fellini o da Ettore Scola e il regista de Le conseguenze dell’amore,
cerca di ricordarcelo in ogni sequenza, perché non ammette distrazioni, non
vuole che perdiamo di vista il concetto chiave della pellicola.
Tra sogni e illusioni, ci guida in una nuova
“dolce vita”, più amara, più disillusa di quella che ben conosciamo.
Eppure Roma è sempre quella, siamo noi a
essere diversi, ed è evidente sin dalla prima sequenza:
“Il viaggio che ci è
dato è interamente immaginario. Ecco, la sua forza, va dalla vita alla morte.
Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato…”.
In questa Roma, così sorniona ma così
aggressiva, siamo noi che decidiamo cosa sarà del nostro futuro, della nostra
credibilità.
Perché essere credibili, onesti, coerenti,
forse è la cosa più difficile al giorno d’oggi. Salvaguardare noi stessi senza
svendere la nostra integrità morale, non è affatto semplice.
Lo sa bene Jep Gambardella, il protagonista
del film, e tutti i personaggi che gli fanno da contorno. Macchiette di quella
fetta di società pseudo borghese che si riempie la bocca di frasi fatte e pompose,
che scrive senza neanche sapere di cosa, che parla di arte per darsi un tono,
per apparire, per accrescere quella sterile apparenza di cui vive.
E lì in mezzo, tu chi sei, Jep? Pensi davvero
di essere migliore di loro solo perché oggi sei qui a raccontarcelo?
Chi siamo noi? Quanti di noi possono davvero
ritenersi integri, coerenti?
A questo, e a molti altri interrogativi,
Sorrentino prova a dare risposte, tra stereotipi contemporanei e affermazioni
sì retoriche ma altrettanto veritiere.
La sua regia è manieristica, forse troppo, e
pur creando continuità e coerenza per tutti i 140 minuti, alcune
sequenze stridono poiché sembrano piazzate a casaccio nella pellicola e vanno a
incrinare l’omogeneità generale.
In alcuni passaggi restiamo un po’ spaesati,
titubanti, ci verrebbe quasi voglia di gridare ma no, non serve, perché in
fondo la soluzione è lì, davanti ai nostri occhi: basta concentrarsi su Tony
Servillo, sulla sua straordinaria capacità di calarsi nel personaggio di
Jep, sulla sua innata e inarrivabile bravura per ritrovare la concentrazione.
E intorno a lui, un Carlo Verdone
diverso (seppur non troppo convincente) dal solito, ancor più malinconico,
sfortunato e fragile di come siamo abituati a vederlo; una Sabrina Ferilli inverosimilmente
cupa, triste rassegnata; un Carlo Buccirosso meno brillante del solito
per ironia e arguzia, ma pungente quanto basta per il personaggio che gli è
stato affidato.
Tutto sembra orchestrato alla perfezione, e
alla fine del racconto, tutto torna. Ma qualcosa, dentro di noi, è cambiato.
Sorrentino ci ha spiazzato perché ha portato
sul grande schermo i responsabili del marcio che regna e imperversa nella
società di oggi: i radical chic che cenano con caviale e champagne ma non hanno
la tv perché “non la guardano”, gli italiani medi che per sconfiggere la noia
si buttano a capofitto sui social network perché solo lì possono inventarsi una
vita che in realtà non hanno. E ancora, nobili in mutande che si svendono per
due lire per partecipare alle serate mondane, cardinali che la fede, neanche
sanno dove sia di casa, spogliarelliste con più anima e più cuore delle suore
severe che sgridano i bambini nei cortili delle scuole. Gli arabi ricchi che cenano
in lussuosi ristoranti romani e i turisti cinesi che fanno le foto dall’alto del
Gianicolo.
Visto dall’alto sembra tutto uguale a ieri, e
anche Roma, tutto sommato è sempre la stessa.
Siamo davvero noi a essere diversi, disperati,
disposti a tutto per un po’ di celebrità.
Perché oggi come ieri, tutto si può
comprare in un modo o nell’altro.
A che prezzo però?
Provate a pensarci, e non dimenticate che la
credibilità ahimè, quella no che non è mai stata in vendita.
Vincitore del Golden Globe 2014 come "miglior film straniero", il film di Sorrentino si è aggiudicato stanotte l'Oscar nella medesima categoria.
13 commenti:
e nessuno ti ha commentato questo post splendido, uno dei tuoi più belli? è proprio vero allora, c'è di che essere pessimisti... eppure il film mi ha fatto amare terribilmente la vita.
grazie mille cara.
non perdiamo mai la speranza! ;)
Ciao cara. Come fai ancora ad essere disoccupata con la capacità che hai di piazzare simili recensioni, proprio non lo so. Comunque mi presento. Giovanni, gestisco un blog "vesuvianando" e mi sono permesso di copiare la tua recensione per metterla sulle mie pagine, ovviamente citando la fonte. Questo mio commento intede essere un ringraziamento per il "prestito" e un buona fortuna a te per il futuro. A proposito se quella del profilo è la tua vera foto, per essere carina....lo sei per davvero. Ancora complimenti e buone cose. Giovanni
Grazie Giovanni per le belle parole, e per i complimenti. In bocca al lupo per tutto.
La migliore analisi di questo grande film e della realtà sociale contemporanea.
Grazie mille Teresa!
bellissima recensione.. e visto che hai una visione del film che condivido vorrei chiederti un parere: ..nel finale (attenzione spoiler) non trovi che il personaggio della santa sia la chiave di volta di tutto il film? cioè lei è diversa da tutti ..degli altri prima ci fidiamo e poi ne scopriamo gli scheletri..mentre con lei succede il processo inverso.. ( alla fine a me risulta pure bella!!quando sorride!!) (e lei è davvero santa, la prova schiacciante sono i fenicotteri) infatti credo che jep ritrova in lei quella grande bellezza...che aveva trovato nella sua gioventu (e che forse gli permetterà di riscrivere un libro..?) condividi questa mia teoria? la santa è forse l'unico personaggio "bello" del film? non sarebbe poi così pessimista..dimostrerebbe che seppur difficilmente c'è qualcuno che riesce ad uscire dal circolo vizioso di tanto in tanto..
Assolutamente sì, Astrid. Il personaggio della santa dimostra che, nonostante tutto,sotto sotto, in profondità, qualcuno c'è. La grande bellezza c'è. La santa è l'unico appiglio che Jep possiede per non sfogare. L'unica cosa attraverso la quale, riesce a vedere "oltre"
Assolutamente sì, Astrid. Il personaggio della santa dimostra che, nonostante tutto,sotto sotto, in profondità, qualcuno c'è. La grande bellezza c'è. La santa è l'unico appiglio che Jep possiede per non sfogare. L'unica cosa attraverso la quale, riesce a vedere "oltre"
bel blog davvero, complimenti.
Grazie mille Riccardo!
Ti ringrazio. Avevi dato anch'io una lettura analoga al film, anche se molto più acerba della tua.
Credevo che fossi io a non aver capito il film, e invece vedo che non sono andato troppo lontano dalla tua ottima spiegazione.
Grazie! :)
Grazie mille a te Giulio!
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