Alcune serie tv riescono a toccare le corde giuste, a emozionarci
e coinvolgerci a tal punto, da far sì che i personaggi diventino parte del nostro
mondo.
Altre serie tv hanno un ulteriore pregio: la capacità di spingersi oltre e raggiungere i punti più intimi e profondi dello spettatore e instaurare con esso un rapporto unico, destinato a durare nel tempo.
Altre serie tv hanno un ulteriore pregio: la capacità di spingersi oltre e raggiungere i punti più intimi e profondi dello spettatore e instaurare con esso un rapporto unico, destinato a durare nel tempo.
È il caso di Parenthood, la serie di Jason Katims in onda da quattro anni
sulla Nbc e stracult di questa settimana.
Non è la prima volta che parliamo dello show che ha per protagonista la famiglia Braverman, composta da attori del calibro di Lauren Graham, Peter Krause e Monica Potter, solo per citarne alcuni.
Perché sì, i protagonisti di questo family drama, meriterebbero di essere citati uno a uno, dal più piccolo Tyree Brown, al più attempato, Craig T. Nelson, passando per i giovanissimi Mae Whitman e Miles Heizer, fino a Erika Christensen o Bonnie Bedelia.
Partendo sin dall’inizio con un potenziale da far invidia ad altre pietre miliari del drama familiare, come Brothers & Sisters o Desperate Housewives per certi versi, Parenthood in questi anni è riuscito se possibile, anche a superarsi.
Ha saputo andare aldilà del romanzo narrativo corale, dando spazio gradualmente e senza mai annoiare, alle storie dei singoli, scandagliando e approfondendo la psicologia di ciascun personaggio, senza trascurarne nessuno e focalizzando l’attenzione su particolari mai banali o trascurabili, ma ogni volta fondamentali e significativi ai fini della storyline generale.
Ed è proprio questa l’arma vincente della serie di Katims, la capacità di portare in scena il quotidiano di ogni piccolo ramo della famiglia Braverman, che episodio dopo episodio, contribuisce a creare un albero solido e robusto, rappresentato da una famiglia alla quale ognuno di noi, tutto sommato, vorrebbe appartenere.
Non è la prima volta che parliamo dello show che ha per protagonista la famiglia Braverman, composta da attori del calibro di Lauren Graham, Peter Krause e Monica Potter, solo per citarne alcuni.
Perché sì, i protagonisti di questo family drama, meriterebbero di essere citati uno a uno, dal più piccolo Tyree Brown, al più attempato, Craig T. Nelson, passando per i giovanissimi Mae Whitman e Miles Heizer, fino a Erika Christensen o Bonnie Bedelia.
Partendo sin dall’inizio con un potenziale da far invidia ad altre pietre miliari del drama familiare, come Brothers & Sisters o Desperate Housewives per certi versi, Parenthood in questi anni è riuscito se possibile, anche a superarsi.
Ha saputo andare aldilà del romanzo narrativo corale, dando spazio gradualmente e senza mai annoiare, alle storie dei singoli, scandagliando e approfondendo la psicologia di ciascun personaggio, senza trascurarne nessuno e focalizzando l’attenzione su particolari mai banali o trascurabili, ma ogni volta fondamentali e significativi ai fini della storyline generale.
Ed è proprio questa l’arma vincente della serie di Katims, la capacità di portare in scena il quotidiano di ogni piccolo ramo della famiglia Braverman, che episodio dopo episodio, contribuisce a creare un albero solido e robusto, rappresentato da una famiglia alla quale ognuno di noi, tutto sommato, vorrebbe appartenere.
Ci sono poi altre serie tv che, dopo molti
anni, riescono sì ancora a emozionare, ma non come una volta.
Alcuni telefilm, nel corso degli anni, hanno perso il brio che avevano all’inizio, le storie hanno cominciato a farsi via via ripetitive e prevedibili, e le lacrime, quelle vere e sincere, riaffiorano sul volto dello spettatore solo di fronte a una delle innumerevoli tragedie nel plot.
È il caso per esempio di Grey’s Anatomy che ha inaugurato la
Alcuni telefilm, nel corso degli anni, hanno perso il brio che avevano all’inizio, le storie hanno cominciato a farsi via via ripetitive e prevedibili, e le lacrime, quelle vere e sincere, riaffiorano sul volto dello spettatore solo di fronte a una delle innumerevoli tragedie nel plot.
È il caso per esempio di Grey’s Anatomy che ha inaugurato la
la nona (e onestamente si spera ultima)
stagione con una serie di episodi dolorosi e difficili, che spesso ci hanno lasciato
con un sapore amaro in bocca e fiumi di lacrime da asciugare.
Questa prima parte di stagione ha convinto
meno del solito tanto il pubblico quanto la critica, e le scelte di Shonda Rhimes
appaiono ormai azzardate e in alcuni passaggi troppo forzate.
Troppo dolore, troppa sofferenza, così
troppa da trasformarsi, paradossalmente, in banalità.
Ciascun personaggio ha una cicatrice più o
meno profonda da rimarginare, ognuno una tragedia da superare (l’ennesima), e
le lacrime, sotto alcuni punti di vista, iniziano a diventare troppe. Siamo pur
sempre di fronte a una serie tv, e non per forza dobbiamo ridurre tutto a un
cumulo di kleenex accanto al divano. Alcune serie, dovrebbero aver la capacità
di commuovere ed emozionare non soltanto per la dipartita di un personaggio, quanto
piuttosto per quei piccoli dettagli riscontrabili anche nel nostro quotidiano,
ed è proprio qui che la Rhimes cade, dove invece Katims, riesce a meraviglia.
2 commenti:
grande parenthood, la nuova stagione non è davvero niente male!
grey's sempre in caduta libera, però l'ultimissima stagione non è nemmeno troppo male...
Io avevo iniziato a guardare la prima stagione di Parenthood in tv, ma si sa in Italia per i telefilm meno seguiti si cambia continuamente giorno e ora. Fino a quando poi l'hanno interrotto. Mi stava piacendo un sacco. Dovrò cercarlo su internet e recuperare tutto il tempo perduto allora!
Posta un commento