Il 2 marzo 2010, la NBC trasmetteva l’episodio pilota di Parenthood, il family drama incentrato sulle vicissitudini della famiglia
Braverman.
La serie, ideata da Jason Katims e ispirata all’omonimo
film di Ron Howard (1989), si è conclusa il 29 gennaio scorso dopo sei
stagioni.
Acclamato negli anni da una discreta fetta di pubblico, lo
show ha alternato nel corso del tempo stagioni entusiasmanti ad altre un po’
sottotono, sopravvivendo in maniera altalenante anche negli ascolti, per cinque
lunghi anni.
La sesta e ultima stagione non brillato per
originalità e si è conclusa in maniera piuttosto sbrigativa e per alcuni
versi un po’ superficiale. Non sono mancati però momenti estremamente
commoventi e toccanti, caratteristica imprescindibile della serie.
La famiglia Braverman ha sempre saputo emozionarci,
strapparci sorrisi, lacrime, veri e propri singhiozzi a volte. Si è sempre
distinta per essere “una famiglia normale”, non necessariamente sopra le righe
come i Gallagher (Shameless), né
troppo melensa.
Senza discostarsi mai troppo da situazioni e atteggiamenti
“politically correct”, i Braverman ci hanno fatto entrare nelle loro case,
sedere sul loro divano e condividere insieme momenti di vita quotidiana,
contraddistinta da problemi comuni, vicinissimi a quelli che incontriamo ogni
giorno nelle vita reale.
Assistere a un episodio di Parenthood è sempre assomigliato
al sedersi a tavola con i propri parenti per una cena di famiglia: fiumi di
chiacchiere, risate, incomprensioni con eventuali discussioni o litigi annessi,
sempre però senza oltrepassare il limite della buona educazione.
Zeek e Camile, con i loro figli Adam, Julia, Sarah e
Crosby e annesse famiglie, sono entrati a loro volta nelle nostre di case e per cinque anni ci
hanno tenuti legati alle loro storie.
Alle volte abbiamo preso le parti di uno, altre volte
dell’altra, proprio come nella vita reale.
Ognuno di loro ha saputo emozionarci, e per quanto mi
riguarda, non sono mai riuscita ad arrivare alla fine di un episodio della
serie senza commuovermi a più non posso.
La series finale non è stata da meno: la puntata si è aperta
con l’attesissimo matrimonio tra Sarah e Hank, per concludersi con la morte di
Zeek, che noi spettatori aspettavamo ormai da inizio stagione.
Ottima la scelta degli autori di non calcare ulteriormente
la mano sulla dipartita del capofamiglia, nell’aria già da troppo tempo per essere
portata ancora più all’estremo, e forse un po’ furbetta la scelta di mostrarci,
attraverso alcuni flash forward, il futuro dei personaggi.
Fatto sta che, seppur buonista o troppo “volemose bene”, questo
finale ci ha regalato ciò che ci aspettavamo e che anzi, quasi pretendevamo da
questa serie: un sorriso, qualche lacrima, un lieto fine infiocchettato e
perfetto.
Forse è stato troppo rose e fiori se paragonato alla realtà,
ma sempre di finzione si tratta qui, quindi per una volta, prendiamoci una
series finale così, senza troppe complicazioni.
Consumiamo il nostro pacchettino di kleenex senza fare
troppo gli snob e archiviamo Parenthood in un cassetto, tra le serie più vere
e commoventi di tutti i tempi.
3 commenti:
Un finale ampiamente prevedibile, eppure efficace.
Addio Braverman, ci mancherete.
Oh no! Ho finito i kleenex. :)
Anch'io ne ho parlato nel mio blog. Mi è piaciuta tanto come serie proprio per il suo essere semplice e reale, concordo con te su questo punto. E' vero, le scene finali di tutti i figli sfornati in futuro sono state messe insieme per non lasciarci con tanti punti interrogativi. Avrebbero potuto fare qualche episodio in più. E' anche vero che se fosse per me non mi stancherei mai di questa bella e chiassosa famiglia americana. Giulia S.
@Giulia: chiassosi ma mai troppo :)
@Marco: anche io li ho finiti! :P
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