Che Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann fosse un film destinato
a spaccare in due pubblico e critica, nessuno avevo dubbi.
Che Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann, a livello registico,
fosse un flop totale, se lo aspettavano invece in pochi.
Dopo lo strabiliante successo di Romeo + Juliet, dopo una discreta pellicola come Moulin Rouge, e dopo il totale fallimento di Australia, in molti stavano aspettando la nuova opera del regista australiano, per capire quanto, effettivamente, valesse dietro la macchina da presa.
Dopo lo strabiliante successo di Romeo + Juliet, dopo una discreta pellicola come Moulin Rouge, e dopo il totale fallimento di Australia, in molti stavano aspettando la nuova opera del regista australiano, per capire quanto, effettivamente, valesse dietro la macchina da presa.
Il risultato? Luhrmann non riesce a schiodarsi dalla sua
cinematografia tutta lustrini e costumi sgargianti, dalla messa in scena
barocca e fin troppo kitsch, dal fastidioso sfarzo che invade con prepotenza
l’atmosfera degli anni Venti raccontata nel celebre, indimenticabile e fino a
poco tempo fa, intoccabile, romanzo di Francis Scott Fitzgerald.
Luhrmann stavolta ha fatto il passo più lungo della gamba,
ha osato fin troppo e il risultato è un oltraggioso e crudele torto nei
confronti di uno dei migliori scrittori della storia della letteratura
americana.
Il Grande Gatsby, soprattutto nel corso dei primi quaranta
minuti, porta in scena il cinema "luhrmanniano" lussurioso, vanitoso, fin troppo
ridondante nella sua esuberanza.
Ciò che ne resta, della prima parte almeno, è la copia sbiadita di un
videoclip di musica pop, che tenta di modernizzare una storia intramontabile,
con uno spropositato uso di primi piani invadenti, panoramiche confuse, e
spasmodici movimenti di macchina schiavi di un inutile 3D che penalizza il film
in tutto e per tutto, soprattutto se lo si guarda in versione 2D.
Fino all’arrivo di Di Caprio, la regia risulta quasi
fastidiosa, prepotente, una violenza nei confronti dei versi di Fitzgerald che
riecheggiano in mezzo alla colonna sonora, a partire da Young and Beautiful di
Lana Del Rey che risuona in continuazione come una sorta di leitmotiv
martellante, nei diversi arrangiamenti, tra una Beyoncé e una Alicia Keys.
Il film è fin troppo autocelebrativo: Luhrmann è in ogni
scena, in ogni inquadratura, in ogni fuoco d’artificio che brilla sopra la
villa imperiale di Gatsby.
Il film straborda di eccessi, non rende onore
all’universalità della storia, al dramma umano che lo scrittore racconta nelle
pagine del suo romanzo, un romanzo ancora oggi attuale, che narra una storia di
solitudine, incomunicabilità, disillusione.
Di Caprio cambia le sorti della pellicola, con il suo arrivo
il regista si placa, si calma, e lascia spazio all’innato talento dell’attore.
Smette finalmente di usare la cinepresa in maniera isterica,
mette da parte lo sfarzo, si concentra sui personaggi, e grazie alla “materia
prima”, in questo caso la storia, il film si riprende, seppur con fatica, fa sì
che il potere delle parole di Fitzgerald esca fuori fino a imporre la sua potenza
sulla forza delle immagini.
Ecco quindi, per l’ennesima volta, un favoloso Di Caprio al
centro della pellicola, a dominare la scena, con fermezza, convinzione, potenza
espressiva.
Certo il ruolo non gli varrà l’Oscar, ma ancora una volta,
il caro Leo, è riuscito a dare ulteriore riprova della sua incredibile bravura
e se dietro la macchina da presa ci fosse stato un regista più classico, uno
Scorsese per esempio, Fitzgerald in questo momento non si starebbe rivoltando
nella tomba.
Debole Tobey Maguire nel ruolo di Nick Carraway, inadatto e
poco convincente non riesce a lasciare il segno, non quanto Carey Mulligan, ottima
invece nei panni della ricca e viziata Daisy, seppur lontanissima dalla Mia Farrow
del precedente (e splendido) remake del 1974 di Jack Clayton, con Robert
Redford a interpretare Gatsby.
E visto che ‘non si può ripetere il passato’, come cerca di
spiegare Carraway a Gatsby in un passaggio significativo del film, sarebbe
stato meglio che qualcuno lo dicesse invece a Luhrmann prima che iniziasse a girare il remake di un
film perfetto tratto da un romanzo intoccabile.