Toccare il fondo per poi ricominciare non è mai semplice.
Qualunque sia la ferita, qualunque sia il vuoto da colmare, ripartire da zero
non è facile
.
.
Il sapore della sconfitta e le cicatrici indelebili che inevitabilmente
ci ricordano un passato che avremmo preferito dimenticare, sono il prezzo da
pagare per ricominciare a vivere, senza guardarsi indietro.
Uscire da una dipendenza, qualunque essa sia, alcol, droga,
amore, è ancor meno facile, e non tutti riescono ad afferrare a volte quella
seconda chance tanto agognata e sofferta.
C’è chi, rassegnato, si crogiola nelle proprie sconfitte,
spesso dissociandosi inconsciamente dalla realtà, chi si lascia trascinare dai
propri fallimenti senza trovare neanche il coraggio di reagire, vittima
inesorabile della propria codardia.
Sul grande schermo sono molte le pellicole che, negli anni,
hanno cercato di raccontare il lungo e faticoso percorso necessario per uscire
da una dipendenza e molte lo hanno fatto cedendo al manierismo tipico del
genere, esasperando l’aspetto drammatico della disintossicazione in un
estenuante susseguirsi di lacrime e disperazione.
Diverso il caso di Smashed,
film indipendente scritto (a quattro mani con Susan Burke) e diretto da
James
Ponsoldt, presentato e premiato allo scorso Sundance Film Festival.
Protagonisti della pellicola, Kate (Mary Elizabeth Winstead)
e Charlie (Aaron Paul), una giovane coppia apparentemente affiatata e
felice, vittima però dell’alcolismo.
Kate, dopo anni trascorsi in preda all’oblio e
all’annebbiamento dato dai fumi dell’alcol, dopo notti passate a dormire chissà
dove e ricordi sbiaditi di giornate consumate con la bottiglia in mano, decide
di afferrare la sua vita per le corna e provare a disintossicarsi nonostante
l’ostilità di Charlie, inerme di fronte alla sua dipendenza e incapace di
reagire.
Ciò che colpisce subito di Smashed, è lo volontà di Ponsoldt di ribaltare gli stilemi classici
del genere e affrontare il percorso di Kate con estrema ironia, senza
soffermarsi troppo sull’aspetto drammatico della situazione, ma andando invece
a evidenziarne gli aspetti sarcastici.
Il regista ci racconta la storia dei due protagonisti senza
retorica, ma in maniera onesta, vera, sincera, ed evita di nascondersi dietro
quel moralismo che si scontrerebbe invece con i toni sagaci e pungenti della
sceneggiatura.
Il finale stesso, elude dall’happy ending desiderato, e non
lascia spazio a dubbi, regalandoci così, quell’amaro in bocca tipico dei film
indipendenti di questi ultimi anni.
Kate è riuscita a rialzarsi, a riappropriarsi della propria
vita, a ripartire da zero, ma senza Charlie, rimasto in un angolo a guardare,
ostaggio e vittima stessa della sua debolezza. Non c’è redenzione per lui, né
una seconda chance, è troppo tardi ormai.
“Can
we just play one more game? Because You're kicking my ass and it's embarrassing
and l would like to have a chance to redeem myself. Please?”
Perché così è la vita, scandita da occasioni perse,
traguardi mancati, seconde possibilità.
Alcuni si rialzano dopo una sconfitta, altri no.
Qualcuno con fatica e costanza ce la fa, qualcun altro invece,
lascia tristemente che il destino decida per lui.
Del resto: “It's hard
to live your life honestly”.
‘cause life goes on, no matter what'
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