There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

martedì 25 giugno 2013

Mistresses US: il ritorno di Alyssa Milano



Trovare serie godibili e appassionanti in questo particolare periodo dell’anno è particolarmente difficile. I finali di stagione ce li siamo lasciati alle spalle, negli States i network preannunciano già i prossimi palinsesti, e a parte “mostri sacri” come Dexter e Breaking Bad, l’attesa per una nuova serie spesso non soddisfa le nostre aspettative. 
Mentre i fan di Stephen King stanno ancora riflettendo se Under the Dome li soddisfi o meno e mentre gli appassionati di comedy si barcamenano tra le novità in onda (a breve le recensioni di tutti questi telefilm) vorrei concentrarmi su un’altra serie tutta al femminile, dopo che pochi giorni fa vi ho parlato di Devious Maids (il nuovo drama di Marc Cherry il “papà” di Desperate Housewives), oggi mi concentrerò su Mistresses US.
Quattro donne al centro del nuovo show della Abc, remake dell’omonima serie inglese del 2008, April (Rochelle Aytes), Savannah (Alyssa Milano), Josselyn (Jes Macallan) e Karen (Yunjin Kim), le nostre “mistresses” appunto, che letteralmente significa “amanti”.
Negli ultimi giorni mi è capitato di leggere parecchie recensioni negative sulla serie di K.J. Steinberg (Gossip Girl, The Nine), molte sensate, altre a mio modesto parere no. 
Partiamo dal presupposto che non ci troviamo davanti a un "capolavoro", né tantomeno, come molti hanno evidenziato, di fronte all’erede di Desperate Housewives (vi svelo un segreto, quello non esisterà mai, proprio come con Lost).
Siamo di fronte a una serie che di originale ha senza dubbio poco e niente  ma che punta innanzitutto su un cast di tutto rispetto, per far breccia nel cuore dei fan: accanto alla Milano e alla Kim, indiscutibili punte di diamante del telefilm, altri volti noti del piccolo schermo fanno capolino nella storia, da Jason George (Grey’s Anatomy) a Gary “Warrick” Dourdan (CSI). 
In secondo luogo, l’appealing della maggior parte dei personaggi gioca un punto a favore della serie: affascinanti, appassionate, fragili, vulnerabili, le quattro protagoniste rispecchiano, per molti aspetti, parecchie donne di oggi.
Mamme single, donne in carriera, giovani irriverenti, amanti devote. Chiamatele pure “stereotipi” se volete, ma non fermatevi lì e cercate di andare oltre. 
Sotto la superficie, c’è qualcosa di più. 
Ve ne accorgerete soffermandovi per esempio su ognuno dei personaggi, che seppur non innovativi sono senza ombra di dubbio ben strutturati e ben raccontati.
Non vi basta? Proviamo ad andare più a fondo: tradimenti, segreti inconfessabili,  proposte indecenti, compromessi, bugie. Questi e molti altri argomenti al centro delle storyline che si intrecciano nel corso di ogni episodio, rappresentano sì stereotipi già visti e rivisti in parecchi telefilm, ma non sono gli stereotipi che in fondo ci uniscono, ci accomunano e fanno sì che tra gli individui si creino dei legami più o meno profondi?
I problemi di Savi, Joss, Karen e April sono i problemi di molte donne di oggi e di ieri, e in futuro continuerà a essere così, perché siamo complicate e abbiamo accanto noi uomini ancor più complicati.
Non fraintendetemi però: Mistresses non è affatto una serie sdolcinata, stucchevole o melensa, perché il sesso, ancora una volta, è al centro di tutto. Più passionale che crudo come quello visto in Girls, più torbido, sensuale e bollente.
Il pubblico maschile sarà felice di ritrovare una Alyssa Milano in splendida forma nonostante i chiletti di troppo, o le gambe chilometriche della Macallan, e quello femminile non esiterà a rifarsi gli occhi con l’aitante Jason George (povera Miranda Bailey).
Se avete tempo libero, o in una calda serata estiva non sapete cosa guardare, Mistresses US è la scelta giusta: sexy, ironico e poco impegnativo.
Un peccato di gola insomma. Quasi irrinunciabile.


giovedì 20 giugno 2013

Goodnight and good luck, James



'La mattina del giorno in cui sono stato male ero pieno di pensieri. 
È bello lanciarsi nelle cose quando sono ancora agli inizi. 
E io sono arrivato un po' troppo tardi, questo è chiaro... 
Ma da un po' di tempo ho la sensazione di arrivare quando tutto sta finendo... 
e il meglio è già passato'. 


Stavolta pare sia finita davvero, caro Tony. Almeno in questo mondo. 
Goodnight and good luck.

R.I.P. James Gandolfini





The Carrie Diaries: non nominare il nome di Carrie invano



Per chi se lo fosse perso durante la messa in onda statunitense.
Per chi volesse rivederlo.
Non è una serie che ho apprezzato, tutt'altro. 
Mi domando ancora come la CW possa averlo rinnovato per una seconda stagione... 
Resta comunque un telefilm che ha fatto parlare di sé, e sicuramente continuerà a farlo in futuro, vivendo, volente o nolente, del riflesso di Sex and the City
Per tutti i curiosi, The Carrie Diaries, da stasera, in anteprima assoluta, su Mya (Mediaset Premium). 


Le ultime stagioni di Gossip Girl hanno dimostrato come Josh Schwartz, già autore di The O.C., non sia affatto in grado, alla lunga, di mantenere alti ritmo e qualità di uno show nel corso degli anni.
Le serie prodotte dalla CW nell’ultimo periodo, come The Secret Circle, Arrow, Beauty and the Beast, hanno invece confermato ancora una volta il mediocre livello qualitativo adottato dal network per accaparrarsi la fetta di pubblico, importante sì, ma non effettivamente influente, dei teenager.
Alla luce di questi fatti, il connubio Schwartz (e Amy Harris, showrunner di Gossip Girl) e Cw quindi, non può che risultare ormai scadente se parliamo di serie tv.
Esempio lampante The Carrie Diaries, il tanto temuto, e mi fa male già solo definirlo così, “prequel” di Sex and the City, che ha debuttato il 14 gennaio scorso ed è già arrivato al quarto episodio.
Trovo piuttosto superfluo suggerire, come molti hanno fatto, di non fare paragoni con la serie madre in onda fino al 2006 sulla HBO, così come ritengo inappropriato provare a guardare la serie senza pensare al passato. 
The Carrie Diaries nasce come prequel e va visto come tale, con tutte le responsabilità che una scelta simile comporta.
Vuole essere un prequel a tutti gli effetti ed è innegabile che sì, fa acqua da tutte le parti.
Non solo non si avvicina minimamente a Il diario di Carrie (2012) e Summer and the City (2011) romanzi che Candace Bushnell ha pubblicato anni dopo la chiusura della serie madre, ma presenta anche buchi clamorosi nello script totalmente slegati a livello temporale dai fatti raccontati dalla Carrie adulta.
L’idea di abbandonare una rete valida e stimata come la HBO per approdare su un network di serie B è il primo di numerosi errori, seguito a ruota dalla trovata, poco intelligente, di discostarsi notevolmente, a livello narrativo e stilistico, dai romanzi cui lascia intendere invece di volersi ispirare.
Altro passo falso, ricade senza dubbio sulla scelta, sofferta a quanto pare, della protagonista, quell’Anna Sophia Robb vista nel 2005 ne La Fabbrica di cioccolato di Tim Burton, ragazzetta anonima e sciapa, imparagonabile a sua maestà Sarah Jessica Parker nonché poco credibile nel ruolo affidatole.
Poco espressiva, per nulla magnetica e alquanto debole nella recitazione, la Robb risulta oggi il frutto di una scelta davvero poco oculata, il vero tallone di Achille di una serie già di per sé poco convincente. I personaggi comprimari, a loro volta, non colpiscono né convincono, eccezion fatta per Austin Butler, (Switched at Birth e Life Unexpected), nei panni di Sebastian Kidd, il primo amore di Carrie.
Non manca la cura dei dettagli, questo è innegabile, ma anche in questo caso, il tentativo di ricreare l’atmosfera degli anni Ottanta, soprattutto nelle esterne girate a Manhattan, risulta forzato e poco credibile, e il risultato è che, aldilà di qualche abito fluo e una colonna sonora caratterizzata da hit ‘80s, tutto si traduce in un banale susseguirsi di cliché e stereotipi messi uno in fila all’altro.
Impossibile slegare The Carrie Diaries da Sex and the City, difficile apprezzarlo come prodotto a sé stante, poiché fin troppo debole e mediocre anche per un network come la CW che negli anni ha alimentato la tv trash, e continua a farlo, con serie “spazzatura” come 90210 o Gossip Girl, solo per citare i casi più eclatanti.
Il teen drama è morto, su questo non ci sono dubbi, ed è inutile rincorrerlo.
Sex and the City fa parte del passato, proprio come Lost, e oggi come oggi, sarebbe davvero meglio smetterla di inseguire quella chimera inafferrabile che si rifugia nei remake, nei prequel e nei sequel.
Non volermene Anna Sophia Robb, io non ce l’ho con te, il fatto è, che hai infranto l’undicesimo comandamento: non nominare il nome di Carrie invano.

lunedì 17 giugno 2013

Shameless (U.S.) - stagione 3 - Da vicino, nessuna famiglia è normale



Shameless è surreale, esagerato, a tratti grottesco. È un dramma familiare condito da un umorismo nero che più nero non si può; è sesso puro sbandierato ai quattro venti, è ironia totale e tagliente, è quanto di più vicino alla realtà ci sia ora come ora sul piccolo schermo.
Si è da poco conclusa la terza stagione, e nonostante l’esiguo numero di episodi andati in onda (12 per stagione), a molti di noi, sembra di conoscere i Gallagher da anni.
La season3 si è rivelata senza dubbio quella più “forte”, la più audace e cruda se vogliamo: alcune storyline sono state scritte intenzionalmente senza mezzi termini, girate e raccontate senza troppi fronzoli, volutamente estremizzate.
Il risultato? Raccontare storie vicine a molti di noi, esasperandone alcuni aspetti, facendoci inevitabilmente affezionare alla fragilità e alla tenacia di ognuno dei protagonisti, in maniera incondizionata, senza “se” e senza “ma”, e soprattutto senza nutrire alcun pregiudizio.
I Gallagher, ma anche Sheila e Jody, Vi e Kevin, sono diventati la nostra “famiglia”, con loro ridiamo, ci commuoviamo, denunciamo la società di oggi, viviamo drammi e perché no, condividiamo gli innumerevoli brindisi.
Ed è per questo che, nonostante i difetti di ognuno, non ce la sentiamo di dissociarsi dalle loro sventure e, come faremmo con un membro della nostra famiglia, tendiamo invece a fare il tifo per ciascuno dei protagonisti.
Shameless è talmente crudo da essere da un lato sconvolgente, dall’altro confortante: di fronte alle sventure di Fiona e i suoi fratelli, a tutti noi, strampalate che siano, le nostre famiglie appaiono sempre più normali.
La terza stagione (qualora ve la foste persa vi ricordo che va in onda ogni lunedì alle 21.15 su Premium Joi) ha il pregio di essere riuscita a trasformare i personaggi in persone, rivoltandoli a volte come un calzino, per analizzarne approfonditamente vizi e virtù, pregi e difetti.
Difficile decretare il vero protagonista della stagione, e nonostante io adori Fiona, stavolta i riflettori sono accesi su tutti gli altri.
A partire dalla piccola Debbie che inizia a diventare giorno dopo giorno più grande, rivestendo così un ruolo sempre più importante nelle disavventure dei Gallagher.
Al suo fianco, tra i più piccoli (oltre all’adorabile Liam che finalmente sentiamo dire qualche parolina), il diabolico Carl, il figlio che nessuno di noi vorrebbe avere, l’unico invece in grado di scalfire il cuore di cemento di Frank.
Accanto a loro, Ian e Lip, al centro di due storie d’amore totalmente diverse tra loro ma con parecchi punti in comune: estenuanti, faticose, irruente, in grado di stravolgerli completamente e mostrarli al pubblico sotto una luce diversa da quella cui eravamo abituati. Sono entrambi fragili, impauriti, duri fuori ma molto meno robusti dentro.
Sono due teenager cresciuti troppo in fretta, diventati adulti sotto tanti aspetti ma ancora piuttosto immaturi sotto altri. La realtà li opprime e a loro non resta che provare a salvarsi, in due modi differenti: fuggendo lontano, come decide di fare Ian, o provando a immaginare un futuro diverso, migliore, come fa Lip, e se anche l’università resterà per lui soltanto un sogno, almeno potrà dire di averci provato a  differenza di altri.
E poi c’è Fiona, sempre più “madre” e meno sorella, e non perché è diventata a tutti gli effetti tutrice legale dei ragazzi, quanto piuttosto per colpa delle innumerevoli difficoltà che la vita le pone davanti e che la maggior parte delle volte, si ritrova a dover affrontare da sola.
E nonostante la stanchezza, la fatica, la solitudine, alla fine della stagione è sempre lei a non mollare, anzi: è solo e soltanto Fiona a tenere le redini unite della famiglia, nonostante il tradimento di Jimmy, nonostante la malattia di Frank, nonostante tutto.
E per la prima volta, la vediamo piangere al capezzale di un padre in cui non crede più, ma dal quale non vuole affatto allontanarsi; la vediamo lottare per un lavoro che no, non le interessa, ma che le occorre e lei è disposta a tutto pur di ottenerlo. Nonostante il futuro non si prospetti per nulla roseo, Fiona è pronta ad andare avanti, e lo dimostra nella scena finale dell’ultimo episodio, in cui cerca di dire addio a Jimmy, nonostante questo le costi una fatica e una sofferenza  immensa.
Ultimo, tra i Gallagher, l’indomabile Frank: la terza stagione lo ha visto protagonista di numerose storie, impegnato “politicamente”, sempre pronto ad arrabattarsi in qualche modo, sempre in prima linea se c’è da fregare qualcuno. L’ultimo episodio però, nonostante il dispiegarsi di alcuni strampalati eventi nel corso delle undici puntate trasmesse precedentemente, ci mostra un Frank a cui non eravamo assolutamente abituati né tantomeno preparati.
Se già il suo personaggio ci aveva stupito quando aveva scelto di farsi arrestare per salvare il piccolo Carl dal carcere, è solo con il riavvicinamento a Lip che papà Gallagher dimostra di avere ancora un briciolo di umanità in corpo, tra i fiumi di birra che gli scorrono nelle vene.
La notizia della sua malattia ci mostra un nuovo Frank, diverso, vulnerabile, più vero.
In questo esatto passaggio, tutti i conti tornano, l’intera stagione assume un senso diverso, nuovo, vero: Shameless dimostra, una volta per tutte, di saper trasformare in maniera esemplare i personaggi in persone, per renderli più vicini a noi, più reali, e ciò si evince ancor di più nello splendido pisodio conclusivo.
La malattia di Frank ha avuto un “effetto domino” su tutti i suoi figli, a partire da Carl fino ad arrivare a Fiona, passando per Lip. E chissà ora cosa succederà, chissà chi sarà il primo a cadere senza riuscire più a rialzarsi.
Quel padre assente, infimo, meschino, è tornato a essere, suo malgrado, il fulcro attorno cui ruota l’intera famiglia Gallagher, proprio come accade in molte, moltissime famiglie.
Perché è esattamente questo che succede nella realtà: non importa quanti errori abbiamo commesso, quanti sbagli abbiamo compiuto, ce lo insegnano sin da bambini che dentro le mura domestiche, meritiamo tutti una seconda chance, nonostante tutto. Perché “la famiglia è la famiglia”, giusto o sbagliato che sia.



martedì 11 giugno 2013

Critics’ Choice Television Awards 2013: l'elenco dei vincitori



Si sono tenuti ieri sera a Beverly Hills, i Critics’ Choice Television Awards 2013, i premi assegnati dai critici televisivi americani e canadesi alle serie tv. A trionfare, The Big Bang Theory, che si è aggiudicato il premio nelle categorie miglior comedy e migliore attrice e attore non protagonisti (Kaley Cuoco e Simon Helberg). A contendersi il premio come miglior drama, invece, Game of Thrones e Breaking Bad. Quest’ultimo ha visto ancora una volta prevalere l’inimitabile Bryan Cranston come miglior attore in una serie drammatica.
Di seguito, l’elenco completo dei premi, che ne pensate?
Best Movie/Miniseries
Behind the Candelabra (HBO)



Best Supporting Actor in a Movie/Miniseries

Zachary Quinto (American Horror Story: Asylum)



Best Supporting Actress in a Movie/Miniseries
Sarah Paulson (American Horror Story: Asylum)



Best Actress in a Movie/Miniseries
Elisabeth Moss (Top of the Lake)



Best Actor in a Movie/Miniseries
Michael Douglas (Behind the Candelabra)
Best Drama Series
Game of Thrones (HBO), Breaking Bad (AMC) 



Best Actress in a Drama Series

Tatiana Maslany (Orphan Black)

Best Actor in a Drama Series
Bryan Cranston (Breaking Bad)



Best Supporting Actor in a Drama Series Michael Cudlitz (Southland)



Best Supporting Actress in a Drama Series
Monica Potter (Parenthood)



Best Guest Performer in a Drama Series

Jane Fonda (The Newsroom)

Best Comedy Series The Big Bang Theory (CBS)



Best Actress in a Comedy Series Julia Louis-Dreyfus (Veep)



Best Actor in a Comedy Series Louis CK (Louie)



Best Supporting Actress in a Comedy
Kaley Cuoco (The Big Bang Theory), Eden Sher (The Middle)


Best Supporting Actor in a Comedy Series
Simon Helberg (The Big Bang Theory)



Best Guest Performer in a Comedy Series
Patton Oswalt (Parks and Recreation)