There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

lunedì 31 dicembre 2012

I wish I was the Star that went on top

Ultimo giorno dell’anno, tempo di somme, sottrazioni, buoni propositi e ottimismo. Per qualcuno il bicchiere sarà mezzo vuoto, per qualcun altro mezzo pieno, ma poco importa, perché tra qualche ora, tutti ci ritroveremo al cospetto di quel bicchiere.
Per alcuni domani sarà un nuovo inizio, per altri forse soltanto un giorno come un altro.
Alzando gli occhi al cielo più tardi, c’è chi non vedrà l’ora che arrivi la fine della serata, chi invece, vorrà fermare il tempo.
E domani, ci troveremo come ogni anno, un po’ appesantiti dal cenone, un po’ intontiti dal vino, carichi di speranze e positività.
Quanto durerà la spinta positiva del nuovo anno appena iniziato, lo decideremo solo ed esclusivamente noi e ognuno si convincerà che sì, forse questo sarà davvero l’anno giusto e che sì, nel 2013 lasceremo il segno.
E magari pensare ai buoni propositi è superfluo, ma è anche vero che è inevitabile.
È più forte di noi, è una forza magnetica quella che ci porta, ogni 31 dicembre, a sperarci, o a illuderci. A sperare, a sognare qualcosa.
E anche se è vero che sognare di questi tempi serve a poco, è anche vero che senza i sogni, ci ridurremo tutti a un cumulo di cenere di noia e banalità.
E allora perché no, crediamoci.
Anche se solo per questa sera, anche se soltanto per una manciata di giorni.
Lasciamoci trascinare dall’oblio, dalla frenesia, dall’eccitazione del momento, e viviamo quell’attimo in cui tutto sembra possibile, perché ognuno di noi, o quasi, in fondo in fondo se lo merita.
A mezzanotte alzate lo sguardo, guardate il cielo e ricordatevi: il primo che vedrà una stella cadente, ce l’avrà fatta sul serio, anche se solo per pochi secondi.



I wish I was a neutron bomb,
For once I could go off.
I wish I was a sacrifice
But somehow still lived on.
I wish I was a sentimental ornament
You hung on
The christmas tree,
I wish I was the star that went on top,
I wish I was the evidence
I wish I was the sun for fifty million hands upraised,
And opened toward the sky.

I wish I was a sailor with someone who waited for me.
I wish I was as fortunate,
As fortunate as me.
I wish I was a messenger,
And all the news was good.
I wish I was the full moon shining off a camaro's hood.

I wish I was an alien, at home behind the sun,
I wish I was the souvenir you kept your house key on.
I wish I was the pedal break that you depended on.
I wish I was the verb "to trust", and never let you down.

I wish I was a radio song,
The one that you could turned up,
I wish, I wish, I wish, I wish,
I guess it never stops. 


venerdì 28 dicembre 2012

Focus on 'Gossip Girl': c'era una volta, nel 2007...


Il 19 settembre 2007, negli States andò in onda il primo episodio di un teen drama che nel corso del tempo, avrebbe fatto parlare di sé: Gossip Girl.
Trasmesso sulla CW, il network dedicato al pubblico giovane e più "sbarazzino", e tratto dai romanzi di Cecily von Ziegesar, la serie vanta un cast fresco e alle prime armi, composto da attori esordienti. Oggi le cose sono decisamente cambiate, gli attori di Gossip Girl sono tra i più ambiti del piccolo schermo e il teen drama firmato da Josh Schwartz, dopo sei lunghi anni, ha chiuso i battenti la scorsa settimana.
Blair (Leighton Meester), Serena (Blake Lively), Chuck (Ed Westwick), Nate (Chace Crawford), Dan (Penn Badgley), sono il fulcro della serie: giovani, ricchi, sexy e impertinenti, si destreggiano nei viali alberati dell'Upper East Side, tra la 48esima e le scalinate del MET, aprendoci le porte delle loro macchine lussuose, degli eleganti attici di Manhattan e degli esclusivi locali che frequentano, palcoscenico perfetto di serate inondate da fiumi di champagne. In un'atmosfera ovattata e patinata, nel 2007 prendono così il via le avventure di un gruppo di adolescenti che, con passare degli anni, sarebbe riuscito a far mangiare la polvere anche a Marissa e ai ragazzi di The O.C. per spregiudicatezza e comportamenti politically uncorrect. Sempre con look griffati e all'ultima moda e carte di credito illimitate, i protagonisti di Gossip Girl sul piccolo schermo non temono rivali, tanto che, Serena e Blair non hanno nulla da invidiare a Carrie&Co e lo charme di Chuck Bass è di gran lunga superiore rispetto a qualsiasi altro personaggio maschile della TV.

Dopo l'incredibile successo iniziale, la serie di Schwartz comincia a dare segni di cedimento a partire dalla terza stagione, quando è iniziata una discesa repentina a livello di storyline e sceneggiatura.
Pur mantenendo una regia frizzante e briosa e una colonna sonora senza dubbio azzeccatissima, soprattutto in relazione al target di riferimento, Gossip Girl ha cominciato a risentire fortemente degli ascolti, soprattutto nel corso del quarto e quinto anno, spingendo i produttori e il cast a firmare sì una sesta stagione per regalare una degna conclusione alle avventure dei ragazzi dell'Upper East Side, ma contraddistinta da appena dieci episodi. Con un percorso parecchio simile a quello di un altro teen drama "coetaneo" prodotto dallo stesso network, One Tree Hill, Gossip Girl è incappato nella crisi del terzo anno senza però riuscire a rialzarsi.
Il calo graduale dello share è andato di pari passo con la qualità della serie, via via sempre più scadente, e l'errore degli autori è stato quello di lasciare che si trascinasse per troppo tempo in balìa della ripetitività e di vicende fin troppo surreali ed effimere da poter risultare coinvolgenti o interessanti.


Tra alti e bassi, pochi giorni fa la serie è giunta al termine, svelando la misteriosa identità della blogger che dà il titolo allo show, che per anni ha pubblicato online segreti, pettegolezzi e vicissitudini del gruppo di ragazzi al centro della storia.
La grande attesa riservata alla series finale è servita a poco, e le aspettative del pubblico non sono state affatto ripagate: affibbiare a un personaggio maschile e piuttosto emblematico come Dan Humphrey il ruolo di Gossip Girl, non ha convinto per nulla i fan più affezionati. Unica ciliegina sulla torta, per molti di loro, l'attesissimo matrimonio tra Chuck e Blair, i due protagonisti, destinati a stare insieme sin dal primo episodio.
Meno calore per lo sposalizio tra Serena e Dan, avvenuto 5 anni dopo la fine della storia e raccontato nei minuti finali dell'episodio nel corso di un flash forward anch'esso molto poco convincente. Dei pochi misteri realmente risolti, gli unici ad aver trovato una conclusione, lo hanno fatto in maniera frivola e per nulla esaustiva.

Difetti a parte, sarà difficile se non impossibile dimenticare Gossip Girl, non solo per averci fatto sorridere e divertire nonostante il calo negli ultimi anni, ma anche per aver avuto il merito di aver segnato una vera e propria epoca per il teen drama: quella degli smartphone, dei social network di un nuovo modello di comunicazione, che oggi come sei anni fa, non smette di evolversi e sorprenderci.
Nel corso degli anni, a trarre vantaggio dal successo dello show, sono state soprattutto le protagoniste femminili: la Lively è ormai la nuova musa di Anna Wintour ed è costantemente sulla copertina di Vogue, rincorsa da stilisti e grandi registi; la Meester è una delle attrici più gettonate dai tabloid, esempio di stile ed eleganza per moltissime teenager in tutto il mondo.
Ultima, ma non meno importante, Taylor Momsen, che nel telefilm ha interpretato per quattro anni il ruolo di Jenny Humphrey, stilista in erba, irrefrenabile e ribelle, la più giovane del gruppo, oggi non solo è la leader della rock band The Pretty Reckless, ma è anche una modella quotatissima in tutto il mondo.
Sicuramente non ricorderemo Gossip Girl per la qualità stilistica nella struttura narrativa o nella regia, questo è certo, ma ci ricorderemo sempre con affetto dei ragazzi dell'Upper East Side, perché ognuno di noi, almeno una volta, ha desiderato essere come loro anche solo per un giorno.

Info, foto e news su Movieplayer.it!

lunedì 24 dicembre 2012

Goodbye Gossip Girl



Sei anni vissuti nell’Upper East Side al fianco di Serena, Blair, Chuck, Dan e Nate, non saranno semplici da dimenticare.
Su e giù dalle limousine, tra eventi glam e party di beneficienza, con un martini cocktail in una mano e un flûte di champagne nell’altra, i ragazzi griffati e “pettinati” più chiacchierati di sempre, ci hanno detto addio.
Stracult per certi versi, stracotti per altri, anche se adesso non ce rendiamo conto, in futuro ci mancheranno. 
Gossip Girl teneva in piedi l’ultimo baluardo teen drama, un genere in piena crisi mistica, che con la chiusura lo scorso anno di One Tree Hill, riusciva a sopravvivere solo grazie alla compagnia di Serena Van Der Woodsen e della sua allegra combriccola.
Soundtrack direttamente dai primi posti delle classifiche pop di tutto il mondo, una regia frizzante e divertente e un cast dall’inestimabile fascino: queste le caratteristiche forti dello show, peculiarità che ahimè, nel corso degli anni, non sono state sufficienti però a tenere alto il livello della serie.
Penalizzato da una sceneggiatura piuttosto frivola e da una visibile inconsistenza nel plot, il telefilm creato da Josh Schwartz e tratto dalla serie di romanzi di Cecily von Ziegesar, non ha saputo superare la crisi del terzo anno.
Trascinandosi faticosamente nel tortuoso sentiero della CW, network che di recente non fa che collezionare un flop dopo l’altro, Gossip Girl ha registrato un repentino calo negli ascolti a partire dalla fine del terzo anno, riuscendo però a sopravvivere, molti di noi non si spiegano come, fino a oggi.
Un finale molto atteso quello trasmesso la scorsa settimana, per nulla all’altezza delle aspettative però: bizzarra l’identità, finalmente svelata, di Gossip Girl, la blogger dalla lingua tagliente che altri non è che Dan “lonely boy” Humphrey, e piuttosto “telefonati”, i matrimoni portati in scena nella series finale, quello di Chuck e Blair prima, e quello di Serena e Dan poi.
Difetti a parte, non mi sento però di sparare a zero su questi sei lunghissimi anni, certa che lo spartiacque segnato dallo show dopo The O.C., resterà comunque negli annali: Serena è una versione di Marissa 2.0, con un profilo Facebook e uno smartphone dal quale non si separa mai, più spregiudicata e ribelle, ma senza dubbio, almeno all’inizio, molto affascinante. E come tutti gli altri protagonisti che in questi anni ci hanno tenuto compagnia, ci hanno fatto sorridere e ogni tanto, sono anche riusciti a farci emozionare.

lunedì 17 dicembre 2012

Dexter: stracult o stracotto?

Proseguendo sul filone delle serie stracult e stracotte al tempo stesso, questa settimana non potevo esimermi dal parlare di Dexter, anche e soprattutto in vista della season finale (mentre scrivo questo articolo, la puntata sta per essere trasmessa negli States).
Sarebbe stato troppo facile tirare le somme dello show al termine della settima stagione, ho scelto perciò di scriverne volutamente prima della fine per non lasciarmi condizionare da eventuali cliffhanger a effetto e colpi di scena inaspettati.
Mettendo da parte la stagione attualmente in onda, sulla quale mi esprimerò qualche riga più avanti, la serie che ha per protagonista il fenomenale Michael C. Hall merita innanzitutto una premessa fondamentale: è senza dubbio uno dei migliori telefilm prodotti negli ultimi anni.
Ideata nel 2006 da James Manos Jr. e basata sui personaggi creati da Jeff Lindsay, l’epopea dell’ematologo, vendicatore e killer seriale, si è insinuata nel panorama telefilmico internazionale, imponendosi a testa alta nell’Olimpo dei migliori drama del decennio.
Intensa e imprevedibile, negli ultimi sei anni, la serie ha lasciato il segno in più di un’occasione, dando risalto e importanza non solo al protagonista principale, ma anche ai suoi antagonisti, su tutti gli indimenticabili Miguel Prado (Jimmy Smits, stagione 3) e Trinity (John Lithgow, stagione 4), coi quali stringe un rapporto complesso e intricato di amicizia prima e di conflitto poi.
Unico e solo, Dexter è senza dubbio uno dei personaggi più significativi comparsi negli ultimi anni sul piccolo schermo, al pari di Walt (Brian Cranston) di Breaking Bad e Vic (Michael Chiklis) di The Shield
Stracult e fenomenale, la battuta d’arresto, lo show ha iniziato ad avvertirla a partire dallo scorso anno, con la stagione sei, caratterizzata da una storyline più debole rispetto a quelle degli anni precedenti e da alcune scelte opinabili a livello di script.
E il reato più grave, Dex lo ha compiuto proprio quest’anno, peccando ingenuamente in banalità e soprattutto prevedibilità.
Lenta, prolissa e fin troppo fragile, la settima stagione di Dexter non
ha convinto sotto alcun punto di vista.
A partire dai sentimenti nutriti da Deb nei confronti del fratello, fino alla totale assenza di un cattivo vero e proprio, per arrivare all’ennesima intricata relazione stretta da Dexter con l’ennesimo, emblematico personaggio femminile.
Lyla, Lumen e ora Hanna (interpretata dalla bella Yvonne Strahovsky, la Sarah di Chuck): tre donne misteriose, fragili, inquietanti per un verso o per l’altro, tre personaggi capaci di condizionare fin troppo le scelte e le azioni compiute da Dexter.
Ed è proprio arrivati a questo punto, proprio di fronte ad Hanna, che inevitabilmente ci viene voglia di tornare agli antipodi, alla “normalità”, ed è così che inconsciamente, ci sorprendiamo a provare nostalgia per Rita, un personaggio forse meno decisivo rispetto ad altri, ma fondamentale per preservare l’equilibrio non solo nella vita di Dex, ma nell’intera serie.
Una stagione poco incisiva questa settima, per nulla coinvolgente o emozionate, stracotta e probabilmente, arrivata al capolinea: non c’è season finale che tenga.

giovedì 13 dicembre 2012

Awake: da stasera, alle 21 su Fox Crime




In seguito a un tragico incidente automobilistico, il detective Michael Britten (Jason Isaacs, il Lucius Malfoy della saga di Harry Potter) perde la moglie Hannah (Laura Allen) e il figlio Rex (Dylan Minnette), e si ritrova imprigionato nel dolore e in un’intricata spirale in cui il sogno non si riesce a distinguere dalla realtà.
Se in un mondo infatti Michael è vedovo e padre di un adolescente, nell’altro è ancora al fianco della sua splendida moglie ma in lutto per la morte del figlio avvenuta in seguito all’impatto.
La sua vita cambia una mattina dopo l’altra, e il risultato irreversibile è che lui si sveglia un giorno in un mondo e il giorno dopo in un altro.
Cosa gli resta per non perdere il filo del destino? Semplice, due braccialetti di colori differenti, uno rosso uno verde, da indossare secondo la realtà in cui il protagonista viene catapultato.
In entrambi i mondi si ritrova a risolvere delitti e crimini con due partner diversi, Isaiah Freeman
(Steve Harris) e Efrem Vega (Wilmer Valderrama), e contemporaneamente a cercare una via d’uscita da questo labirinto, con l’aiuto del terapista John Lee (B.D. Wong) nella realtà rossa e con quello della dottoressa Evans (Cherry Jones) nella verde.
Questo in poche parole il plot di Awake, la nuova serie della Nbc firmata Kyle Killen (Lone Star), a metà strada tra il fantasy e il crime.
Alla base c’è il paradosso del Gatto di Schrödinger e
l'idea dell’esistenza di un mondo parallelo, di una possibile realtà alternativa, tutte teorie affascinanti e misteriose da sempre così care a registi e scrittori.

Pronto a subentrare al posto di The Firm visti i disastrosi ascolti registrati sino a oggi (l’ultimo episodio ha ottenuto un misero e debole 0.8 di rating nel target demografico 18-49), il telefilm, il cui preair è già disponibile sul web, debutterà sulla Nbc giovedì 1° marzo e per vederlo in Italia dovremmo aspettare ancora qualche mese.
Risale a pochi giorni fa la notizia di un accordo con Kevin Weisman, l’indimenticabile Marshall Flinkman di Alias, per un ruolo ricorrente nella serie già dopo una manciata di episodi, in cui interpreterà l’emblematico Mr. Blonde, personaggio chiave per la risoluzione del mistero che vede protagonista Michael.
Lo spunto è interessante, la sceneggiatura discreta, ma in quanto a ritmo e hype non ci siamo affatto: nonostante Awake sia una delle serie più attese dell’anno sin dal Comic-Con 2011, l’impressione iniziale è che manchi totalmente di azione e velocità, e visto il genere, direi che si tratta di un deficit piuttosto elevato.
Qui trovate il primo episodio!

lunedì 10 dicembre 2012

90210: 100 episodi tra top e flop


Stracult e Stracotti - …ovvero la serie che questa settimana va su e quella che inevitabilmente va giù. Parola di Stargirl su Telefilm Cult!


Ci sono serie talmente stracotte che meriterebbero di venir chiuse dopo una manciata di episodi appena, altre che, nonostante tutto, un’occhiata se la meritano nonostante tutto. Ce ne sono alcune che vengono trascinate per lunghe, estenuanti stagioni, altre che al termine del primo anno, si beccano una chiusura anticipata lasciando in sospeso gli esigui colpi di scena che solitamente le caratterizzano.
Esistono poi alcuni telefilm che, soltanto con l’episodio pilota, si confermano immediatamente “stracult”, senza lasciare alcun dubbio allo spettatore. Altri invece ci mettono un po’ a convincere pubblico e critica per diventare successivamente piccole pietre miliari del panorama telefilmico internazionale, per arrivare poi a certi show che, seppur stilisticamente e qualitativamente mediocri, riescono in qualche modo, a far parlare di sé.
Riallacciandosi al detto “nel bene o nel male purché se ne parli”, questo è proprio il caso di 90210, spin-off, remake, sequel (di epiteti gliene sono stati attribuiti molti in questi cinque anni) del celebre Beverly Hills 90210, storico teen drama che negli anni Novanta ha fatto impazzire la mia generazione, gettando le basi di un genere che, ahimè, oggi, si è perso per strada.
A metà strada tra lo stracult e stracotto, per tutti i motivi elencati sopra, al centro della nostra rubrica oggi, proprio i ragazzi del West Beverly High versione 2.0, che con l’ultima puntata trasmessa sulla CW la scorsa settimana, hanno festeggiato il traguardo di “100 episodi”.
Come già anticipato, non ci troviamo certo di fronte a un capolavoro, né tantomeno a show di grosso rilievo, questo è poco ma sicuro. E se vogliamo, anzi, di difetti, nella serie ideata da Rob Thomas e sviluppata da Gabe Sachs e Jeff Judah, possiamo riscontrane parecchi: dall’inconsistenza di alcune storyline, a una sceneggiatura fin troppo superficiale e prevedibile, fino ad arrivare a un plot spesso banale ed esagerato e una recitazione (per la maggior parte dei componenti del cast) piuttosto elementare.
Ma se la serie resiste, a fatica e nonostante l’esiguo numero di spettatori ogni settimana - appena un milione scarso (e un rating dello 0,5 nella fascia 18-49) -, un motivo c’è.
Da un alto abbiamo le guest star, che come da tradizione del genere (basti pensare alla serie madre o a One Tree Hill) non mancano mai: da Nelly Furtado a Carly Rae Jepsen, da Ne-Yo ai Jonas Brothers, sono molti i personaggi pop che fino a oggi hanno contribuito ad animare il teen drama. Dall’altro, nonostante alcune storie come già detto, appaiono pressoché surreali, il punto di forza di 90210, è proprio nella leggerezza che porta in scena, in quell’irresistibile parvenza trash che l’ha caratterizzata e che trova il culmine nell’irrefrenabile personaggio di Naomi Clark, interpretato da AnnaLynne McCord.
A conti fatti quindi, non c’è dubbio che 90210 sia uno stracotto dalla nascita, da quando tentò, inutilmente, di calcare le fila di un colosso del mondo dei telefilm come Beverly Hills 90210, fallendo in tutto e per tutto.
Ma guardando bene sotto la superficie, questi 100 episodi andati in onda finora, ci hanno regalato, nonostante tutto, un piacevole diversivo, un toccasana per scacciare i pensieri, quaranta minuti che, settimana dopo settimana, ci hanno aiutare a mettere da parte i piccoli problemi quotidiani per un po’, calandoci con leggerezza in un mondo patinato e affascinate, surreale sì, ma senza dubbio esilarante.  

martedì 4 dicembre 2012

The Walking Dead: Made to Suffer


CONTIENE SPOILER SULL'EPISODIO 3x08

Fight the dead, fear the living.
Questo il claim della terza stagione di The Walking Dead, un concetto a cui, molti di noi, non hanno prestato particolare attenzione. Fino allo scorso episodio, quando durante When the Dead Come Knocking, il Governatore ha dato il peggio di sé, torturando psicologicamente e con una freddezza inimmaginabile, la povera Maggie.
È proprio lei, nella midseason appena trasmessa, ad aprirci gli occhi su quel claim, spiegandoci con un distacco e una lucidità  inattesi, il messaggio della prima parte di stagione: “A forza di scappare dagli zombie, ci scordiamo di cosa fanno i vivi. Di cosa hanno sempre fatto”.
Con queste parole, Maggie ci trafigge il cuore, e apre le porte a una puntata sì mozzafiato, ma non all’altezza di una midseason che si rispetti forse, e nello specifico, non all’altezza di quella dello scorso anno, che si concluse con lo sparo di Rick allo zombie di Sophia.
10,2 milioni di spettatori sintonizzati, 15 milioni totali se consideriamo anche le repliche, un record assoluto per la AMC: The Walking Dead è la serie via cavo più seguita disempre, l’unica che per numeri e ratings, è riuscita a battere una pietra miliare come The Sopranos.

Combatti i morti e guardati dai vivi, Michonne.
Tu che dei morti ti sei fatta scudo, non abbassare la guardia, e stai attenta al Governatore.
Lo scontro finale tra i due è il momento più intenso dell’intera puntata, che raggiunge il culmine con l’arrivo di Andrea, irriconoscibile nel ruolo della “donna innamorata”, e trova riposo solo nei lunghi e silenziosi secondi in cui le due donne si sfidano senza proferire parola.

Guardati dai vivi Daryl, non prendere il pericolo sottogamba.
Lui, uno dei personaggi migliori dell’intera serie, cade inaspettatamente proprio sotto gli occhi di Merle e si ritrova col sangue del suo sangue, al centro di un’arena, con una folla inferocita che grida all’esecuzione, senza pietà.

Merle ha combattuto i morti, si è guardato dai vivi, ma tutti i suoi sforzi, non sono bastati. Tradito, senza remore o pudore, dallo stesso Governatore che lo aveva salvato.
Lui, al centro di quell’arena dove fino a poche ore prima, rivestiva invece il ruolo del gladiatore.

Tutto è ribaltato in Made to Suffer, nulla, nuovamente, è come sembra, ma questa volta, un lieve calo di concentrazione, ha penalizzato l’intero episodio.
Prevedibile l’epilogo finale con i fratelli Dixon come protagonisti, ingiustificabile il silenzio e l’omertà di Michonne, che sceglie di non rivelare tutta la verità a Rick, nonostante questo potrebbe garantirle la sua piena fiducia.

Un nuovo gruppo di sopravvissuti intanto, irrompe nelle prigione, dove Carl, cresciuto troppo in fretta, si ritrova a vestire i panni dell’eroe.
Poco credibile forse, ma senza dubbio scaltro e impavido per la sua età, pronto a fronteggiare una famiglia, che per certi versi, ricorda inevitabilmente la sua.

E mentre i nostri, con un arsenale da guerra mettono sottosopra Woodsbury per liberare Glenn e Maggie, il povero Mike ci lascia le penne, passando quasi inosservato, e noi ci ritroviamo a tirare un sospiro di sollievo perché sì, stavolta almeno non ci hanno portato via nessuno dei “nostri”.
Più che della morte di Mike in sé, a interessarci è invece il motivo che ha portato Rick, a non coprire le spalle al suo compagno.
Shane.
Il suo fantasma, torna all’improvviso per incendiare i suoi sensi di colpa, proprio nel momento in cui, la minima distrazione, può costare la vita a uno del gruppo.
È stanco Rick, esausto, ma non si rassegna, e con tutte le forze che ha, prova a tirar fuori Glenn e Maggie da quell’inferno.

“Fatti per soffrire” i nostri eroi, ma anche noi in un certo senso, considerando che per scoprire che fine faranno, dovremmo aspettare fino al 10 febbraio 2013.
Che l’attesa estenuante abbia inizio.
Sarà lenta e interminabile, proprio come accadde per Lost.
Preparatevi psicologicamente.

lunedì 3 dicembre 2012

666 Park Avenue: un flop prevedibile?

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Stracult e Stracotti - …ovvero la serie che questa settimana va su e quella che inevitabilmente va giù. Parola di Stargirl su TelefilmCult!



666 Park Avenue, horror serie della Abc, era senza dubbio uno degli show più attesi dell’anno.
Tratto dai romanzi di Gabriella Pierce, creato e prodotto da David Wilcox, inizialmente il telefilm contava dalla sua non solo la fiducia di un network forte e vincente come la Abc, ma anche, e soprattutto, un cast di tutto rispetto e di grande effetto: tra i protagonisti infatti, Terry O’Quinn, l’indimenticabile John Locke di Lost, e Vanessa Williams, Wilhelmina Slater in Ugly Betty nonché Renee Perry in Desperate Housiwives.
A conti fatti però, la serie, già dopo i primi episodi, si è rivelata un fiasco totale, sotto tutti i fronti, nonostante la strepitosa performance di O’Quinn, encomiabile anche in un ruolo diversissimo da Locke, che ha fatto sì che lo amassimo così tanto.
Superfluo spendere parole sulla trama della serie: immaginate tutti i luoghi comuni che avete fino a oggi in un qualsiasi film horror di serie b, e avrete la storyline di Park Avenue.
Allucinazioni senza senso, corridoi deserti, bambine con un bambolotto in mano, uccelli neri che escono dalle pareti, sussurri nella notte, cantine infestate di spiriti e presunti colpi di scena che spesso e volentieri non sono nient’altro che sogni.
Una protagonista scialba e poco espressiva, un cast bizzarro che fa da contorno, e quel sussulto sul divano tanto inseguito dagli autori, che alla fin fine non arriva mai concretamente.
Stracotto come pochi altro, 666 Park Avenue ha avuto però vita breve, e qualche settimana fa, l’Abc ha deciso di cancellarlo al tredicesimo episodio, stesso destino riservato, purtroppo, anche a Last Resort. Niente paura però (neanche stavolta riescono a spaventarci): gli autori hanno promesso che entrambe le serie non avranno un finale aperto ma una degna conclusione.


È iniziata giovedì 29 novembre, in esclusiva su Mya (Mediaset Premium), la quarta, strepitosa stagione di The Vampire Diaries, la serie firmata da Julie Plec e Kevin Williamson, stracult di questa settimana.
I fratelli Salvatore (Ian Somerhalder e Paul Wesley), tornati sul piccolo schermo, stavolta si ritrovano con una bella gatta da pelare tra le mani: la loro bella Elena (
Nina Dobrev) si è finalmente trasformata in vampiro.
Questa quarta stagione è la stagione del cambiamento, a tutti gli effetti, e quest’anno più che mai, il livello di hype è altissimo, grazie alla giusta dose di intrighi, colpi di scena e cliffhanger emozionanti che caratterizzano lo show.
Abili ancora una volta a dosare gli elementi tipici del fantasy con quelli del teen drama, Pec e Williamson possono dirsi soddisfatti dei risultati raggiunti finora: merito degli ascolti stabili su quasi 3 milioni di spettatori a episodio, un ottimo risultato per un network come la CW.
Al centro della storyline, in questa stagione più che mai, il triangolo amoroso tra Damon, Elena e Stefan, ormai famoso quanto quello formato, negli anni Ottanta, da Brenda, Dylan e Kelly in Beverly Hills 90210.
Nulla viene trascurato in The Vampire Diaries, e ogni particolare è messo in luce con la massima cura e attenzione: regia, sceneggiatura, colonna sonora, tutti elementi ancori saldi su un livello medio-alto seppur dopo quattro anni