There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

sabato 31 marzo 2012

Stracult e Stracotti …ovvero la serie che questa settimana va su e quella che inevitabilmente va giù. Parola di Stargirl su Telefilm Cult! 

Questa settimana (è per me un onore): 
Stargirl VS Leo Damerini su TOUCH 

Il rapporto è sempre lo stesso. 1 a 1,618 che si ripete all’infinito. Gli schemi sono nascosti in bella vista. Bisogna solo sapere dove guardare.
Cose che molta gente vede come caos, in realtà seguono sottili leggi comportamentali. Galassie. Piante. Conchiglie.
Gli schemi non mentono mai.
Ma solo pochi di noi riescono a vedere come ogni pezzo s’incastra con l’altro.
7.080.360.000 vivono su questo piccolo pianeta.
Questa è la storia di alcune di queste persone.


Stargirl – Touch è Stracult perché:
Decifrare i rapporti matematici che regolano il mondo significa rintracciare sul nostro cammino il filo rosso del destino, imbatterci in quegli individui che siamo inconsciamente costretti a incontrare e comprendere da chi o cosa dipenda effettivamente la sorte di ognuno di noi. Un sistema intricato ma ben delineato di intrecci attraversano in lungo e in largo tutto il mondo legandoci inconsapevolmente a persone di cui oggi, magari, non conosciamo neppure il nome.
In Touch, la nuova serie che ha per protagonista lo strepitoso Kiefer Sutherland, Tim Kring riprende e approfondisce i punti forti di Heroes, insistendo ancora una volta su quei temi tanto cari al grande pubblico: il fato e l’inarrestabile scorrere degli eventi, capaci di rendere l’essere umano inerme e vulnerabile di fronte a qualcosa di più grande e potente. Kring dà vita a un puzzle in cui persone da un capo all’altro del mondo si incastrano e completano, e si fa così portavoce di un messaggio di speranza e ottimismo, in un mondo che sta letteralmente cadendo a pezzi. La serie è impeccabile dal punto di vista della regia e della sceneggiatura, e vanta come carta vincente un cast eccezionale e un plot con un potenziale incontenibile. Touch commuove e invita a riflettere su noi stessi e sul nostro rapporto col mondo, ma soprattutto accresce quel desiderio utopistico che ognuno di noi custodisce segretamente nel cuore: credere nelle seconde chances.  


Leo Damerini – Touch è Stracotto perché: 
A
Kring manca poco per diventare King. Il problema della R di troppo è la Ripetitività. La quale può anche funzionare - la reiterazione è uno dei karma classici dei telefilm - ma dipende da come la si orchestra. In Touch il plot è intrigante, è innegabile. E' una sorta di versione unplugged di Heroes, un ritratto più intimista, a due (padre e figlio), rispetto al corale predecessore. L'avvio sembra però un pò troppo smussato, con alcuni passaggi prevedibili (soprattutto se si parla di Kring) che sembrano dettati dal rigurgito precedente (in Heroes l'affascinante stava nello scoprire passo dopo passo l'interazione con i super-poteri e i relativi anti-heroes). In Touch siamo di fronte - vuoi per la mannaia incombente degli ascolti, vuoi per un diktat comprensibile esterno - ad una semplificazione fin troppo evidente al primo impatto, tanto che già al secondo episodio sembra di essere entrati nel meccanismo. Forse troppo. Il mantra "siamo tutti collegati" (là tra super-anti-eroi per salvare il mondo, qui in due per salvare i destini di singoli individui) può risultare bifronte. Al momento siamo nel mezzo. Sicuramente Kring saprà sorprenderci, visto che sono previsti nuovi volti in arrivo tra i regulars...Attendiamo con fiducia.

lunedì 26 marzo 2012

Genitori in Blue Jeans: molto più di una modern family!


C’era una volta…
Genitori in Blue Jeans, serie a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, rimasta nel cuore di molti fan fino a oggi.
Lo show racconta con ironia e uno humour indimenticabile, le disavventure della famiglia Seaver, composta dallo psichiatra Jason (Alan Thicke) e sua moglie Maggie (Joanna Kerns), e dai loro tre figli, Mike (Kirk Cameron), Carol (Tracey Gold) e Ben (Jeremy Miller).
In onda negli States dal 1985 al 1992 (in Italia arrivò con un ritardo di due anni), Growing Pains, questo il titolo originale, ha tenuto compagnia agli spettatori nel corso di 166 episodi, più a due film tv prodotti qualche anno dopo, e uno sfortunato spin off del 1988, Dieci sono pochi, durato un paio d’anni appena.
Genitori in Blue Jean è la fotografia divertente e veritiera della società dell’epoca: percorrendo le diverse fasi di crescita dei tre (successivamente quattro) figli della coppia, analizza in maniera accurata e attendibile, le difficoltà economiche e affettive che ogni famiglia può trovare sul proprio cammino. Problemi familiari, professionali e scolastici: in questa serie c’è tutto, e tutto è raccontato con una delicatezza e un umorismo difficilmente riscontrabili nelle comedy degli ultimi anni.
Indimenticabile il personaggio di Mike, il maggiore dei tre figli, adolescente irrequieto, latin lover incallito, l’ultimo della classe e il primo nel cuore delle donne, in netta contrapposizione con sua sorella Carol, secchiona di prima categoria e impacciatissima con i ragazzi.
Idolo delle teenager dell’epoca (compresa la sottoscritta), Kirk Cameron spopolò sul finire degli anni Ottanta, per poi sparire dalla scena e dedicarsi alla religione, per diventare ministro del culto della chiesa battista qualche anno fa.
Molte le guest star in Growing Pains: su tutte il giovanissimo Leonardo Di Caprio nel ruolo di Luke, un ragazzo in difficoltà affidato ai Seaver per un breve periodo; da ricordare anche un acerbo Matthew Perry, che prima di interpretare il celebre Chandler in Friends, recitò nei panni del fidanzato di Carol.
La serie, una di quelle a cui sono particolarmente legata e affezionata, vuoi perché mi ricorda incredibilmente la mia infanzia, vuoi perché fu una delle primissime che cominciai a seguire con regolarità, torna finalmente in tv, a distanza di moltissimi anni, a partire da oggi alle 15.00 su Fox Retrò. Non perdetela!  

sabato 24 marzo 2012

Stracult&Stracotti: focus sui personaggi di The Walking Dead


Stracult e Stracotti - …ovvero la serie che questa settimana va su e quella che inevitabilmente va giù. Parola di Stargirl su Telefilm Cult!


Si è conclusa pochi giorni fa la seconda stagione di The Walking Dead, tra colpi di scena e la dipartita inaspettata di alcuni personaggi, lasciando i protagonisti al centro di una situazione piuttosto critica e dividendo il pubblico oggi più che mai.
Alcuni mesi fa vi avevo chiesto un parere sulla serie, domandandovi se per voi fosse Stracult o Stracotta, schierandomi a spada tratta nella prima categoria, decisione di cui ora sono sempre più convinta. 
Questa settimana, per salutare degnamente lo show prodotto da Frank Darabont e ingannare la lunga attesa per la terza stagione, eccomi qui in una versione inedita della rubrica, a decretare a quali personaggi “regalare” un pollice in su, e a quali invece il temuto titolo di stracotti.

Arriva un punto in cui il sottile confine tra bene e male, per forza di cose, va oltrepassato. Per sopravvivere, per smettere di soffrire, per tirare avanti.
Il momento in cui decidere se superare il limite, prima o poi arriva per tutti.
C'è chi riesce ad andare oltre, seppur scontrandosi con i propri principi e valori, facendo poi i conti sé stesso. Chi invece, sceglie di nascondere la testa sotto la sabbia e mandar giù, pur di non esporsi troppo.
Rick rientra nel primo girone, quello dei coraggiosi. Lui, che nell’ultimo episodio soprattutto, il limite lo ha superato, sfoderando una grinta e un coraggio che in molti non pensavamo avesse. Il conto da pagare è salato, i sensi di colpa con cui fare a pugni anche, ma un leader come lui, non bada a certe cose, ma "guarda e passa". Rick ha lasciato da parte il poliziotto buono, per indossare, una volta per tutte, i panni di quello cattivo. 
Prova a imporre il suo volere al gruppo, per sopravvivere e non rimetterci la pelle. Lo fa dapprima con le buone, poi con le cattive, perché nel momento stesso in cui ha premuto il grilletto contro Shane, Rick non è più lo stesso. 
Adesso è un leader, anzi, un dittatore, un uomo disposto a tutto pur di proteggere una moglie sempre più sfuggente e un figlio ribelle. Rick ora guarda al suo bene, e a quello dell'intero gruppo, e lo fa in maniera drastica, autoritaria, aggressiva. Lo fa senza badare a chi canta fuori dal coro, a chi non appoggia le sue decisioni, a chi la pensa diversamente da lui. Prende il comando con prepotenza, lasciando un margine di scelta, prendere o lasciare.
Al suo fianco, fra i personaggi top di questa stagione, il compianto Dale,
l’ago della bilancia, l’unico in grado di riportare il disordine sulla retta via e di mettere a tacere la follia esplosa in ogni dove.
L’uomo di fede in grado di dissipare, seppur lievemente e con fatica, quel tarlo che consuma i protagonisti e contamina la bontà d’animo di chi ancora riesce a ragionare in maniera razionale.
Solo contro tutti Dale, capace di mettersi in gioco fino alla fine per preservare l’unione e l’integrità del gruppo, per dar voce ai suoi principi, sgolandosi a più non posso per riportare i suoi compagni di viaggio sulla strada giusta. Uomo prudente e riflessivo, protettivo con i più deboli, impavido di fronte ai più temibili, anche quando hanno il volto e i muscoli di Shane.
In punto di morte, Dale guarda negli occhi Daryl e lo supplica di metter fine alle sue sofferenze, proprio lui, che di fronte a una scelta del genere, avrebbe predicato tutt’altro.
Dale è morto ingiustamente, senza rendersi davvero conto di quanto fosse servita la sua lezione all’intero gruppo. Daryl ne è il primo esempio, Andrea il secondo. E accanto a loro, Herschel. Personaggi con un enorme forza di carattere e di volontà, capaci di mettersi in gioco, di scontrarsi coi propri fantasmi, di scendere a compromessi pur di far i conti con il proprio passato. Capaci di stupire in ogni nuovo episodio, e di assumere di volta in volta, un ruolo sempre più decisivo.

Dall’altro lato invece, Shane ha perso la ragione, la lucidità, la strada. Da poliziotto valoroso qual era si è trasformato gradualmente in un personaggio folle e privo di qualsiasi valore morale.
Ha preso la via sbagliata, ha scelto di perdersi nei meandri della sua stessa follia.
Il pensiero di Lori e Carl lo ha logorato dentro, fino al midollo, consumandolo lentamente.
L’odio nei confronti di Rick, la gelosia, l’invidia, lo hanno allontanato dalla realtà, dirottandolo nel caos più totale. Lo hanno reso cieco di fronte all’evidenza.
Shane non è più razionale, né lucido: ha perso la sua freddezza, si è lasciato travolgere dai sentimenti, da un amore folle, a tratti immaginario, da una competizione che esiste solo nella sua testa. La mossa degli autori di The Walking Dead è stata a dir poco geniale: hanno scavato a fondo nel suo personaggio, stravolgendolo e ne hanno evidenziato fragilità, punti deboli, fragilità.
Lo hanno dipinto come un campione, un codardo, un uomo vulnerabile e spesso privo di controllo, spingendolo fino al limite, quasi per convincerci a odiarlo, e quel limite, hanno deciso di farglielo, ahimè, oltrepassare, senza lasciarci presagire nulla, senza metterci in guardia. Sono riusciti a stravolgere anche noi spettatori, a toglierci letteralmente il fiato.
Come un fulmine a ciel sereno, il carnefice si è trasformato così in vittima, vittima della sua stessa follia però, e di quell’inaspettato coraggio che nessuno pensava che Rick potesse avere.
Il poliziotto buono alla fine ha avuto la meglio su quello cattivo, perché per una volta ha saputo bluffare, mettere da parte sentimenti e razionalità, guardare oltre, e diventare come il suo nemico.
Ma se quasi definire Shane stracotto mi trafigge il cuore, provo invece una gioia infinita nell’affibbiare questo titolo a Lori e al figlio Carl, due personaggi fin troppo fastidiosi e indisponenti. Lori come Lady Macbeth, capace di istigare alla follia, spargere il seme della discordia, insinuare il dubbio. Carl, un bambino invadente, confuso, troppo impegnativo in una situazione del genere. E attorno a loro, una piccola schiera di individui ancora privi di un’identità forte e ben delineata, da Maggie a Glenn, da T Dog a  Carol. Personaggi ancora in ombra, alcuni sottotono in questa stagione, altri totalmente capaci, invece, di venir fuori. 

martedì 20 marzo 2012

The Walking Dead, season finale: this isn't a democracy anymore

(contiene spoiler sulla season finale, episodio 2x13)



Arriva un punto in cui il sottile confine tra bene e male, per forza di cose, va oltrepassato.
Per sopravvivere, per smettere di soffrire, per tirare avanti.
Il momento in cui decidere se superare il limite, arriva per tutti.
C'è chi riesce ad andare oltre, seppur scontrandosi con i propri principi e valori, facendo i conti sé stesso. Chi invece, nasconde la testa sotto la sabbia, e manda giù, pur di non esporsi troppo.
Rick rientra nel primo girone, quello dei coraggiosi. Rick il limite lo ha superato, sfoderando una grinta e un coraggio che in molti non pensavamo avesse. Il conto da pagare è salato, i sensi di colpa con cui fare a pugni anche, ma un leader come lui, non non bada a certe cose, ma "guarda e passa". Se con l'episodio Better Angels ci aveva lasciati a bocca sparando a freddo all'amico Shane, nella season finale di The Walking Dead, il personaggio interpretato da Andrew Lincoln ci ha regalato il meglio.
In Beside The Dying Fire, ogni certezza viene meno, crollano le barriere, cadono a pezzi le sicurezze, e la morte e il caos sono dappertutto. 
In Beside The Dying Fire, Herschel perde la sua fattoria, dice addio a due dei suoi figli, e il resto del gruppo perde Andrea, che d'un colpo si ritrova da sola in mezzo al bosco in balìa del buio e degli Erranti.
In Beside The Dying Fire, Rick completa la sua trasformazione, lascia da parte il poliziotto buono, e indossa i panni, una volta per tutte, di quello cattivo. 
Mette parte ogni remora e regna sovrano. 
Rick prova a imporre il suo volere al gruppo, per sopravvivere e non rimetterci la pelle. Lo fa dapprima con le buone, poi con le cattive, perché nel momento stesso in cui ha premuto il grilletto contro il suo migliore amico, Rick non è più lo stesso. 
Adesso è un leader, anzi, un dittatore, un uomo disposto a tutto pur di proteggere una moglie sempre più sfuggente e un figlio ribelle. Rick ora guarda al suo bene, e a quello dell'intero gruppo, e lo fa in maniera drastica, autoritaria, aggressiva. Lo fa senza badare a chi canta fuori dal coro, a chi non appoggia le sue decisioni, a chi la pensa diversamente da lui. Prende il comando con prepotenza, lascia un margine di scelta, oltre il quale in futuro non andrà. 
Il gruppo può scegliere se sottostare alle sue regole oppure no. Chi vuole può abbandonare la nave ora, senza voltarsi indietro.
Ora, o mai più.
Parli adesso o taccia per sempre. 
Perché da questo momento in poi, "this isn't a democracy anymore". 

sabato 17 marzo 2012

Focus su GCB - Good Christian Belles: la ABC si trasferisce in Texas



Sono bionde, siliconate e kitsch: vanno in Chiesa ogni domenica, e in settimana, tentano di sedurre il marito delle vicine di casa. Sono le irresistibili e irriverenti protagoniste di GCB, la nuova serie che ha debuttato sul network di Desperate Housewives

L’ottava stagione di Desperate Housewives è ormai agli sgoccioli, e alla Abc non resta che correre ai ripari, orfana di una serie che per anni ha garantito ottimi ascolti ogni settimana e un folto seguito di pubblico che è rimasto fedele nonostante gli alti e bassi nella trama. A breve dovremmo quindi dire addio agli irresistibili misteri di Wisteria Lane, a personaggi indimenticabili che porteremo sempre nel nostro cuore, alla forte e intensa componente narrativa che per anni ha caratterizzato lo show ideato da Marc Cherry. Vi sentite pronti? Forse no, e forse, come è accaduto con Lost, non accadrà mai, ma cercare altrove telefilm che possano in qualche modo tentare di riempire “quel vuoto” lasciato dalla chiusura della nostra serie preferita è la soluzione più appropriata. È proprio il network in questa circostanza, a venirci incontro tra l’altro:
sulla scia del discreto successo ottenuto dalla comedy Suburgatory, una delle principali (e più fortunate) novità di quest’anno, la Abc ha deciso di tenersi stretta l’atmosfera patinata e kitsch di questa sitcom, per trasferirla però in un’assolata cittadina del sud del Texas, dove a fare da sfondo a un gruppo di bionde quarantenni, siliconate nei punti giusti e strette in abiti succinti, troviamo rodei e anelli di cipolla fritti, musica country e cappelli da cowboy.
GCB
- Good Christian Bitches, questo il titolo originario della new entry partita in midseason lo scorso 4 marzo, trasformato subito dopo le prime polemiche in Good Christian Belles, per evitare aspre e sterili proteste da parte di conservatori e cristiani.
Creata da Robert Harling (Fiori d’Acciaio, Sister Act, Il Club delle Prime Mogli) e prodotta da Darren Star, un nome, una garanzia, GBC punta su una fotografia nitida, brillante e dagli accesi colori pastello, una sceneggiatura caratterizzata su dialoghi ironici e rapidi e una regia fresca e frizzante. Lo humour portato in scena è cinico e aspro, divertente seppur a volte prevedibile, punta i riflettori sull’ipocrisia delle apparenze, i frivoli rapporti di vicinato e i colpi bassi tra amiche, qui edulcorati ad hoc. A completare il quadretto già di per sé parecchio appetitoso, un cast di tutto rispetto [...]

Continuate a leggere su Movieplayer.it per info sul cast, sul plot e per la photogallery dei protagonisti!   


E GCB è anche lo Stracult della settimana! 
Correte su TelefilmCult scoprite quale serie è invece finita tra gli Stracotti stavolta!

martedì 13 marzo 2012

The Walking Dead: la rivincita degli eroi



(contiene spoiler episodio 2x12)


Shane ha perso la ragione, la lucidità, la strada. Da poliziotto valoroso qual era si è trasformato gradualmente in un personaggio folle e privo di qualsiasi valore morale.
Shane ha preso la via sbagliata, ha scelto di perdersi nei meandri della sua stessa follia.
Il pensiero di Lori e Carl lo ha logorato dentro, fino al midollo. Lo ha consumato.
L’odio nei confronti di Rick, perché di odio si tratta, la gelosia, l’invidia, lo hanno allontanato dalla realtà, dirottandolo nel caos più totale.
Shane non è più razionale, né lucido: ha perso la sua freddezza, si è lasciato travolgere dai sentimenti.
E da un amore folle, a tratti immaginario, da una competizione che esiste solo nella sua testa.
Lui non è si è mai dimostrato un eroe, questo è certo:  è sempre stato un bastardo, un figlio di puttana, un traditore.
Ma non sono in fondo proprio questi i personaggi che ci attirano maggiormente?
Perché sono veri, reali, umani. Perché uno come Shane è fin troppo facile odiarlo, ma è ancor più semplice arrivare ad amarlo.
La mossa degli autori di The Walking Dead è stata a dir poco geniale: hanno scavato a fondo nel suo personaggio, stravolgendolo: ne hanno evidenziato fragilità, punti deboli, punti forti.
Ce lo hanno dipinto come un campione, come un codardo, come un uomo vulnerabile e spesso privo di controllo. Lo hanno spinto fino al limite, quasi per convincerci a odiarlo, e quel limite, nell’episodio di ieri sera, Better Angels, glielo hanno fatto oltrepassare, senza avvisarci, senza lasciarci presagire nulla, senza metterci in guardia. Sono riusciti a stravolgere anche noi spettatori, a toglierci letteralmente il fiato.
Come un fulmine a ciel sereno, il carnefice si è trasformato così in vittima, vittima della sua stessa follia  però, e di quell’inaspettato coraggio che nessuno pensava che Rick potesse avere.
Il poliziotto buono alla fine ha avuto la meglio su quello cattivo, perché per una volta ha saputo bluffare, mettere da parte sentimenti e razionalità, guardare oltre, decidere per il bene di tutti stavolta più che mai.
Shane punta la pistola contro il suo nemico, con lo sguardo famelico, il sangue che sgorga dal naso, le braccia ferme. Sta per premere il grilletto, sta per riprendersi Lori e Carl, sta per compiere un gesto estremo. Lui, che riesce a tirar fuori solo il peggio di sé stesso ormai, sottovaluta però il suo avversario.
Rick lo trafigge inaspettatamente, ed è come se trafiggesse anche noi che stiamo guardando aldilà dello schermo.
Soffoca le urla, stringe i denti e lo maledice ancora una volta “Che tu sia dannato per avermi spinto a fare questo”, grida al suo compagno, mentre tra un gemito e uno spasmo lo guarda morire soffrendo con lui. Rick è diventato un eroe. Ha dimostrato di avere la forza e il coraggio di un vero leader, di essere capace di andare oltre qualsiasi principio pur di sopravvivere. Ma se ci è riuscito, è stato solo grazie al suo antagonista. Solo Shane è riuscito a tirar fuori l’uomo dai panni del poliziotto, solo lui lo ha spronato a combattere con le unghie e con i denti. Se d’ora in poi appoggeremo Rick in ogni sua decisione, se decideremo di schierarci dalla sua parte, sarà solo ed esclusivamente per merito di Shane, perché grazie a lui abbiamo realmente compreso di cosa sia davvero capace.
Ormai non si tratta più di destino o libero arbitrio, né di fede o ragione, ormai ognuno decide per sé stesso, ognuno è artefice del proprio futuro.
Non ci sono vincitori né vinti, tutto si è ribaltato.
Perché anche se adesso sembra difficile da credere, anche se forse preferiamo non ammetterlo o non ce ne rendiamo conto, Rick è diventato come Shane.  


lunedì 12 marzo 2012

GCB - Good Christian Bitches: casalinghe meno disperate


Proviamo per un attimo a immaginare un mondo senza le casalinghe disperate.
Tentiamo, non di dimenticarle, Dio me ne scampi, ma di immaginare già il futuro (ormai prossimo) senza l’appuntamento fisso con le protagoniste di Wisteria Lane. Sorvoliamo per un attimo sulle irresistibili storyline orizzontali che da anni ci accompagnano, sull’intensa caratterizzazione dei personaggi e sull’ineguagliabile componente narrativa e focalizziamo la nostra attenzione altrove.
Sulla scia del discreto successo ottenuto da
Suburgatory, la Abc si tiene stretta l’atmosfera patinata e kitsch della comedy e la trasferisce in un’assolata cittadina del sud del Texas, dove a farla da padrona troviamo musica country, quarantenni siliconate nei punti giusti e strette in abiti succinti, una brillante fotografia dagli accesi colori pastello e una sceneggiatura che punta tutto su dialoghi ironici e rapidi.
La nuova serie in questione,
GCB - Good Christian Bitches (modificato in seguito ad alcune aspre proteste in Good Christian Belles), creata da Robert Harling e prodotta da Darren Star (un nome, una garanzia), è partita in midseason lo scorso 4 marzo e dopo due episodi appena, si è già fatta carico di un’eredità pesante come quella delle Desperate Housewives, pur discostandosi notevolmente dal drama sia dal punto di visto del plot che da quello dei personaggi.
Amanda (la deliziosa
Leslie Bibb, Popular), ex mean girl al liceo e oggi madre di due teenager e vedova di un truffatore, ritorna nella città d’origine, in quell’angolo di Texas, per ripartire da zero e ricominciare una nuova vita, e contare sull’aiuto di una madre invadente e prepotente (interpretata da una strepitosa Annie Potts).
Per Amanda però, la strada è tutt’altro che in discesa: ad accoglierla infatti, le ormai attempate ex compagne del liceo, arricchite e affermate “cougar” ora, affamate di una famelica vendetta nei suoi riguardi.
A capeggiarle, un’irresistibile
Kristen Chenoweth (Pushing Daisies, Glee) la classica “bitch” dalla lingua tagliente, pronta a nascondersi dietro la religione per tirare le sue frecce avvelenate e colpire gli avversari. Tratto da un irriverente romanzo della scrittrice Kim Gatlin, GCB punta i riflettori sull’ipocrisia delle apparenze, i superficiali rapporti di vicinato e i colpi bassi tra amiche, qui edulcorati ad hoc.
Lo humour portato in scena è cinico e aspro, divertente seppur a volte prevedibile, la regia fresca e frizzante e il cast decisamente appetitoso.
Il mio suggerimento più spassionato è di partire col piede giusto quando vi troverete faccia a faccia col
pilot: preparatevi a vedere la puntata di una nuova dramedy ben scritta e ben diretta e con un ottimo potenziale, senza darle subito l’appellativo di “erede” di Desperate: evitate di cadere nello stesso errore che molti di noi hanno fatto con Lost, solo così non resterete delusi.
GCB va visto con la giuste dose di leggerezza, senza eccessive aspettative, con la speranza che andando avanti non deluda ed evitando di paragoni inopportuni con Bree, Susan & Co.
Perché se è vero che nella vita le certezze non sono poi molte, di una cosa possiamo però esser sicuri:
Desperate Housewives è una serie che non dimenticheremo mai, che resterà per sempre nel nostro cuore e nessun altro telefilm potrà mai eguagliarla. 

sabato 10 marzo 2012

Cougar Town e Up All Night: due sitcom a confronto


Stracult e Stracotti - …ovvero la serie che questa settimana va su e quella che inevitabilmente va giù. Parola di Stargirl su Telefilm Cult!


Facile avvicinarsi a una sitcom quando si ha voglia di farsi due risate, divertirsi senza troppo impegno e seguire storyline poco contorte o complicate. 
Semplice quasi come bere un bicchier d’acqua. Più difficile rimanervi affezionati, soprattutto nel mio caso. Eppure, nonostante io prediliga di gran lunga serie drama o sci-fi, mi è capitato di imbattermi, sporadicamente, in alcune comedy alle quali tutt’oggi mi sento particolarmente legata. 
È il caso di Cougar Town, Stracult della settimana, che ha per protagonista la strepitosa Courtney Cox, quarantenne da urlo, perfetta in un ruolo che le addice a pennello, forse ancor più di quello (indimenticabile) di Monica di Friends
La serie prodotta da Bill Lawrence Kevin Biegel può contare su più carte vincenti, dalla sceneggiatura sempre coerente e in linea con gli eventi spesso bizzarri e surreali fino alla comicità irresistibile, coinvolgente e soprattutto mai banale. Impossibile non affezionarsi agli irrefrenabili e autoironici protagonisti, sempre pronti a mettersi in gioco e a ridere, insieme agli spettatori, di loro stessi, ed è impossibile non nutrire un sano trasporto emotivo nei loro confronti. Anche durante le gag più stravaganti e dopo un drink di troppo, non s’inciampa mai nella volgarità ma si sposa invece uno humour sagace e genuino, una comicità di prima categoria, davvero rara in tv in questo periodo. Dopo lo strepitoso episodio della season finale della seconda stagione, la serie è partita in sordina con le prime puntate della terza stagione, nonostante il triste calo di ascolti sulla Abc, che mette a serio rischio il rinnovo per il quarto anno.




E come spesso accade, per una comedy che va su, ce n’è un’altra che inevitabilmente va giù: il pollice verso per lo Stracotto della settimana tocca a
Up All Night, sitcom targata Nbc che vanta un cast stellare: Christina Applegate (Samantha Who?), Will Arnett (Arrested Development) e Maya Rudolph (Saturday Night Live). La storia è semplice ed essenziale e racconta le vicissitudini di una coppia che deve vedersela con la nascita inaspettata di un figlio, passando così dal trascorrere nottate in bianco a ballare e far baldoria a feste e party esclusivi, al restar svegli per cambiare il pannolino e scaldare il biberon.
La sitcom è talmente semplice da risultare però fin troppo lineare e prevedibile, poiché illustra le disavventure della coppia che rasentano la “normalità” allo stato puro, quella che qualsiasi neo-genitore si trova a dover affrontare, ed è priva di quel pizzico di umorismo in più che potrebbe aiutarla a decollare davvero.
Una serie discreta, con un ottimo potenziale ma ancora stretta in una semplicità che alla lunga rischia di annoiare. La critica la osanna, gli ascolti le rendono giustizia eppure Up All Night non convince pienamente: la semplicità, così apprezzata a inizio di stagione, si è trasformata rapidamente in una scrittura troppo inconsistente e leggera e in una trama alquanto esile.