There's no point to any of this. It's all just a... a random lottery of meaningless tragedy and a series of near escapes. So I take pleasure in the details. You know... a Quarter-Pounder with cheese, those are good, the sky about ten minutes before it starts to rain, the moment where your laughter become a cackle... and I, I sit back and I smoke my Camel Straights and I ride my own melt.

mercoledì 29 febbraio 2012

The Walking Dead: quando il gioco si fa duro....



Non è un caso che alla regia del nuovo incredibile episodio di The Walking Dead, 18 Miles Out, ci sia Ernest Dickerson, lo stesso di Wildfire, quinto capitolo della prima stagione, puntata estremamente intensa.
E non è un caso che il regista sia lo stesso degli episodi più introspettivi delle ultime stagioni di
Dexter, altresì dietro la macchina da presa in Haunted, una delle storiche puntate di The Vampire Diaries, contraddistinta da azione e colpi di scena come poche altre.
Sempre capace di regalare allo spettatore una duplice chiave di lettura quando è lui a dirigere un episodio, anche stavolta, giunti a un punto cruciale all’interno della storyline, Dickerson non ci ha delusi, dando ulteriore riprova della sua spiccata capacità di enfatizzare momenti topici come il tanto atteso confronto tra Rick e Shane, sostenuto stavolta più che mai, da una sceneggiatura solida e accurata.
Lo scontro che tutti aspettavamo da tempo è finalmente arrivato, ribaltando una volta per tutte le carte in tavola, capovolgendo la situazione e mettendo in luce fragilità, debolezze e punti di forza dei due protagonisti, antagonisti per eccellenza, in perenne conflitto tra loro.
E soltanto adesso, a due passi dal finale di stagione, quel Rick forte, determinato e audace che avevamo conosciuto all’inizio della serie, lo stesso che ci era sembrato quasi assopito nel corso degli ultimi episodi, torna a farsi largo su tutti, spiccando per determinazione e coraggio sul suo “rivale” Shane, affermando ancora una volta, la sua spiccata natura da leader.
Aggressivo e violento all’occorrenza, moralmente integro e sempre pronto a mettersi in gioco per proteggere il suo gruppo, è lui a prendere con prepotenza (finalmente!) le redini della situazione, chiudendo in un angolo il “traditore”, dopo averlo messo a tacere forse una volta per tutti. L’omicidio di Otis, la storia clandestina con Lori, la gravidanza: Rick non lascia nulla al caso, affronta il suo rivale con una freddezza e un distacco tale da farlo rabbrividire, elencando una a una tutte le condizioni alle quali dovrà sottostare se vorrà rimanere al sicuro alla corte di Hershel.
E a dispetto della mia probabilmente folle propensione per “cane sciolto” Shane, stavolta non posso proprio esimermi dall’inchinarmi al cospetto di Rick, e schierarmi tra i suoi irriducibili seguaci, proprio come ai tempi di Lost, arrivò inevitabilmente il momento in cui fui costretta ad arrendermi a Jack, mettendo da parte, seppur per un breve periodo, il mio giuramento di fiducia eterna a Sawyer. 

sabato 25 febbraio 2012

Stracult e Stracotti: Happy Endings vs. Glee


Stracult e Stracotti - …ovvero la serie che questa settimana va su e quella che inevitabilmente va giù. Parola di Stargirl per Telefilm Cult!

Molte sitcom riescono a lasciare il segno nel cuore dei fan, basta guardare The Big Bang Theory per esempio. Altre scivolano via piuttosto inosservate, come nel caso di I Hate My Teenage Daughter, poiché fin troppo banali per riuscire a riscuotere il benché minimo successo. Certo, eguagliare il successo di Friends, a volte sembra addirittura impossibile, ma può capitare, proprio come è inaspettatamente successo a me, di imbattersi in alcune serie poco conosciute ma incredibilmente deliziose. Così è stato con Happy Endings, Stracult della settimana, una delle tante comedy sui twenty something a cui è davvero difficile resistere. Creata da Dave Caspe e in onda sulla Abc, mentre negli States la serie si avvicina al gran finale della seconda stagione, in Italia ha cominciato a spopolare già dopo pochi episodi della prima stagione.
Nel classico e collaudato schema delle sitcom, Happy Endings si concentra su un variegato gruppetto di amici che davanti a un drink, un caffè o un brunch, si confrontano, consolano e a volte rassicurano, su gioie e dolori della vita quotidiana, problemi affettivi, lavorativi e familiari. L’arma vincente, seppur apparentemente banale, è il tipico quadretto delle sitcom da cha anni diverte e intrattiene il pubblico dei “20 in su” con gag e battute spesso ciniche e beffarde, coadiuvato da un cast di tutto rispetto e da personaggi ben caratterizzati e in perfetta armonia l’uno con l’altro.
Happy Endings non è per niente politically correct, è esilarante e genuino, seppur magari meno originale rispetto a comedy di successo come How I Met Your Mother, solo per citarne una.
Il ritmo veloce e scattante, rende la serie spumeggiante e spiritosa al punto giusto, perfetta per staccare la spina nei momenti “no”.

Per alcune serie tv, un break nel palinsesto, che sia natalizio o primaverile, fa sempre bene, per ritrovare il filo laddove lo si fosse perso, e rispolverare la verve nel caso fosse un po’ fiacca. Guardando Glee, lo Stracotto di oggi, mi rendo conto che però, lo stop che durerà da qui fino al 10 aprile, forse non è neanche sufficiente. Ripercorrendo con la memoria la storia del teen- musical di Ryan Murphy, è facile rendersi conto del forte calo intrapreso già verso l’inizio della seconda stagione al punto in cui si trova ora, ovvero la metà della terza. Nonostante la prima season premiere da urlo, brillante e gloriosa, la serie ha cominciato a mostrare punti di debolezza e forti vuoti e discrepanze nel plot già dal secondo anno, portando all’estremo i piccoli difetti nella stagione attualmente in onda. A prevalere, aldilà delle canzoni e delle ottime performance del cast, sono le storie costruite a casaccio, quasi a random per riempire la durata di un episodio, i personaggi costantemente confusi e incoerenti, e le scelte autoriali decisamente opinabili. Poche le trovate davvero azzeccate, e spesso a prevalere è la noia, dovuta da un susseguirsi di situazioni ripetitive e anche le esigue variazioni sul tema, ormai non bastano più. Facile che poi in molti, si alscino trascinare da quella ventata di freschezza portata da Smash. 

mercoledì 22 febbraio 2012

Un pilot tira l'altro in vista degli Upfront

Nel mondo delle serie tv quello in corso è senza dubbio il periodo più interessante e intenso dell’anno: i maggiori network hanno iniziato a ordinare i primi pilot, a gettare le prime importanti basi per l’anno che verrà, a scegliere registi, attori e titoli per gli show da proporre ai prossimi Upfront che si terranno a maggio. Solo allora infatti, sarà finalmente svelato il destino degli oltre ottanta episodi pilota in fase di produzione in questi giorni, e solo quelli considerati più avvincenti e intriganti, entreranno di diritto nei palinsesti della nuova stagione televisiva 2012-2013.
Questo periodo è in gergo detto del “
pilot-buying” e tra gli ottanta show in cantiere in questo momento, si nasconde la futura serie cult che spopolerà il prossimo anno.
Alcuni passeranno, altri no, ma la maggior parte di loro stuzzicherà senza dubbio la nostra curiosità.
Tra rumors e spoiler vari intanto, qualche informazione sui casting e i plot è già iniziata a trapelare, nonostante in alcune occasioni ci sia il regista già pronto a girare con l’attore di punta, ma il titolo definitivo magari ancora no.
Vediamo quindi le prime indiscrezioni che circolano da qualche giorno sul web.

L.A. Noir
Sarà l’ex Walking Dead Frank Darabont a produrre e girare per il cable TNT il pilot dell’attesissimo L.A. Noir, il crime procedural incentrato sul libro di John Buntin
e sulla battaglia durata dieci anni circa, tra William Parker, capo della polizia e Mickey Cohen, pericoloso gangster della Los Angeles a cavallo tra gli anni ’40 e ’50. Tra criminali assetati di vendetta, infimi poliziotti corrotti, stelle del grande schermo ed eroi di guerra, spiccherà nientemeno che Milo Ventimiglia (Gilmore Girls, Heroes) nei panni di Ned Stax, un ex marine dell’esercito oggi avvocato immischiato con i boss mafiosi della città.

Bunheads ABC Family punta su Bunheads, la nuova serie di Amy Sherman Palladino in cui reciterà un’attrice a lei molto cara, Kelly Bishop, la mamma di Loreai (Lauren Graham) in Gilmore Girls.
Lo show racconta l’arrivo di una ex showgirl di Las Vegas, Michelle, interpretata da
Sutton Foster,  in quel di Paradise, piccola località della California, dove la ballerina si trasferirà in compagnia del suo novello sposo, un uomo conosciuto pochi giorni prima.
Qui, Michelle finirà a lavorare alla
Paradise Dance Academy, una scuola di danza gestita da Fanny, sua suocera, alla quale presta appunto il volto proprio la Bishop. 

Last Resort
La ABC propone un thriller ambientato nel futuro degli Usa, Last Resort, di Shawn Ryan e Karl Gajdusek, la cui regia è affidata a Martin Campbell, dietro la macchina da presa in Casino Royale.
Il plot si concentra su un gruppo di
uomini alla guida di un sottomarino nucleare, che dopo aver lanciato missili nonostante l’ordine di non farlo, verranno espulsi dalla NATO. Divenuti fuggitivi, dichiareranno di possedere ben 24 testate nucleari e mostreranno come, il violare le regole, comporterà sviluppi inaspettati nelle dinamiche del loro ristretto gruppo.  Nel cast Dichen Lachman, già in Dollhouse e Being Human.

Chicago Fire
Ruolo da protagonista per
Taylor Kinney (The Vampire Diaries, Fashion House) nel drama incentrato sul team del dipartimento dei vigili del fuoco di Chicago, proposto dalla NBC e sceneggiato da Dick Wolf, Michael Brandt e Derek Haas.  Kinney darà il volto al tenente Kelly Severide, vero e proprio leader della sua squadra, impegnata soprattutto in casi di incendi e imprese particolarmente pericolosi. Al suo fianco nel ruolo del capitano, direttamente da Oz, Eamonn Walker.

CBS Ancora privo di un titolo che convinca del tutto il nuovo poliziesco di punta della CBS, per cui sono stati scritturati due attori di grosso calibro, come Dennis Quaid e Michael Chiklis (The Shield, No Ordinary Family) che reciteranno rispettivamente nei panni di Ralph Lamb, cowboy di rodeo divenuto sceriffo di Las Vegas, e Johnny Savino, killer di Chicago recentemente trasferitosi a Las Vegas. Prodotta da Nicholas Pileggi e CBS TV, la serie sarà sceneggiata da Nicholas Pileggi e il pilot diretto James Mangold.
Grosse aspettative per la nuova comedy del network, anch’essa ancora senza titolo, interpretata dall’ex cheerleader di High School Musical, Ashley Tisdale che sarà Petra, sarcastica assistente di una stilista di capi vintage che con fatica cercherà di scalare la vetta nella Grande Mela.  Accanto a lei, un gruppo di giovani in carriera, disposti a tutti pur di realizzare i loro sogni in una società in piena crisi economica. Alla sceneggiatura Louis CK e Spike Feresten.

Ray Donovan
Showtime scommette sul drama-crime creato da
Ann Biderman (Southland) e prodotto insieme a Mark Gordon e Bryan Zuriff
che ha per protagonista Liev Schreiber, una versione modernizzata del signor Wolf, impegnato a risolvere i contorti e controversi problemi dell’élite di Los Angeles.
Nello show anche Jon Voight nel ruolo del padre di Ray, Paula Malcomson in quello di Abby, la moglie, Elliott Gould, mentore del protagonista e Kate Moennig. Di queste ore, la notizia che a loro si unirà anche Peter Jacobson, il primo dei reduci della chiusura di House MD.

666 Park Avenue Ritorno sul piccolo schermo dell’indimenticabile John Locke di Lost, nella serie Abc dedicata a tutti gli appassionati del genere horror, che trae ispirazione dall’omonima serie di libri di Gabriella Pierce. 
La trama ruota intorno a una coppia che si trasferisce in un losco condominio di Manhattan dove ogni abitante dello stabile ha stretto un patto col diavolo per vedere realizzati desideri e ambizioni.
Qui la guida completa dell’Hollywood Report sui pilot dei 5 principali network. 

martedì 21 febbraio 2012

So Far Behind You

Ho sempre pensato che Londra fosse la tua città, dopotutto.
Nonostante quel giorno, nonostante il corso degli eventi.
Anche se in fondo in fondo, per certi versi, proprio lì mi dicesti addio.
E proprio lì ho iniziato ad arrovellandomi la testa con mille perché.
Facile perdersi a Londra, difficile tornare al punto di partenza.
Eppure tu ce l’hai fatta, senza voltarti indietro. Mai.
Spesso vorrei non fosse mai successo, sai?
A volte penso che in passato sarebbe stato meglio per me aver avuto il coraggio di restare lì, dimenticare tutto, e ricominciare daccapo.
A volte, vorrei che quel coraggio si facesse avanti ora.
Mi ripeto continuamente che sarebbe più facile ricominciare altrove.
Sarebbe più semplice poter azzerare gli errori commessi, recuperare le scelte compiute,
riscattare le occasioni perse.
Sono tornata spesso su quel ponte a guardare il Tamigi, silenzioso e austero.
C’è chi crede lo abbia fatto per cercare qualche frammento di te, per rivivere tutto daccapo.
Ed espiare in qualche modo il dolore, ma non è così.
La verità è che i ricordi cominciano già a svanire lentamente, a dissiparsi nella memoria, e ho paura.
Il tempo me li sta portando via, e non voglio che accada.
Cominciano a dissolversi rapidamente, come una goccia di pioggia nel Tamigi.
Torno lì, nella speranza di ricordare qualcosa in più, di catturare un dettaglio passato inosservato, di conservarlo insieme a quei pochi che mi son rimasti.
Alla fine ho deciso di salire sulla ruota per vedere Londra dall’alto, sai?
Ci tenevi così tanto eppure non lo hai mai fatto. Perché?
Ora che ho finalmente spiato la città da lassù, ora che ho il suo ricordo stampato nella mente e nel cuore, mi convinco che avresti dovuto farlo anche tu.
Ti sarebbe piaciuto davvero tanto, credimi.

Chissà, magari in un’altra vita finalmente ci saliremo insieme.


"Ora che vorrei nascondermi
Ora che non so resistere
Ora che vorrei solo fuggire lontano da qui
Ora che son disteso qui
Ora che con la mia testa che urla
Ora che la mia lingua tace
Portami via da qui
E non sai più chi sei, cosa vuoi e in cosa credi"

lunedì 20 febbraio 2012

WGA 2012: l’ennesimo gradino verso gli Oscar


Altro giro altra corsa in vista degli ormai imminenti Academy Awards del prossimo 26 febbraio.
Di poche ore, annunciati ieri sera in quel di Los Angeles, i nomi dei vincitori dei
 Writers Guild of America Awards 2012, i prestigiosi riconoscimenti che sin dal lontano 1949 premiano le migliori sceneggiature cinematografiche, televisive e radiofoniche.
Premio per lo script originale al maestro
Woody Allen e al suo splendido Midnight in Paris, che ha avuto la fortuna di non trovarsi faccia a faccia con il favorito agli Oscar, The Artist, poiché non eleggibile per il premio secondo i rigidi criteri dell'associazione.
Miglior sceneggiatura non originale a
Nat Faxon e Jim Rash per The Descendant, adattamento cinematografico dell’omonimo racconto dello scrittore hawaiiano Kaui Hart Hemmings. La statuetta per il miglior script di una serie drama è andata al pluripremiato Breaking Bad e al team vincente formato da Sam Catlin, Vince Gilligan, Peter Gould, George Mastras, Moira Walley, Gennifer Hutchison e Thomas Schnauz; nella categoria comedy ha trionfato invece Modern Family (Elaine Ko, Ben Karlin, Ilana Wernick, Jeffrey Richman, Abraham Higginbotham, Danny Zuker, Bill Wrubel, Brad Walsh, Dan O'Shannon, Christopher Lloyd, Steven Levitan, Paul Corrigan e Carol Leifer) e in quella delle novità invece, ha avuto la meglio Homeland (Henry Bromell, Alexander Cary, Alex Gansa, Howard Gordon, Chip Johannessen, Gideon Raff e Meredith Stiehm ).
Premio al miglior episodio di animazione a
Homer and the Father dei Simpson (22x12), e a Katie Galloway e Kelly Duane per il documentario  Better This World. David Seltzer ha vinto invece come miglior sceneggiatura originale in una mini serie con Cinema Verite, e Peter Gould per quella non originale con Too Big Too Fail.

domenica 19 febbraio 2012

Lost: è giusto cercare un erede della serie di Abrams?


Da quando è finito, Lost sembra aver lasciato un buco enorme non solo nei cuori degli spettatori, ma anche e soprattutto nei palinsesti televisivi, al punto che si è cercata e si cerca tutt’ oggi, una serie tv capace di raccoglierne l’eredità.
Partiamo da una considerazione che riprenderemo alla fine: l’ultima stagione si è conclusa il 23 maggio del 2010, appena un anno e mezzo fa e dunque perché ci sembra passato tanto tempo?
Guardando indietro, possiamo contare su una mano o poco più, le “involontarie” vittime scaturite dalla sua eredità.
In principio fu Jericho, uscito nel 2006, che cercava di calcare l’onda di Lost con un prodotto discreto ma dallo scarso appeal. La produzione fu sospesa dopo la prima stagione e solo grazie a un massivo intervento dei fan che reclamavano un finale, venne prodotta una mini seconda stagione sul web.
Poi arrivò il turno di Flash Forward, che esordì poco prima dell’ultima stagione della creatura di JJ Abrams, e malgrado un magnifico cast e l’ottimo potenziale fu “bruciata” da un eccessivo carico di aspettative da parte del network non ripagate a dovere in termini di ascolti e tantomeno in quelli economici.
Nel settembre 2010 toccò a The Event, supportato da un potente viral marketing già prima della messa in onda, che a conti fatti però, servì a poco. In questo caso, diversamente da FF, la trama non riuscì a decollare mai veramente: i personaggi erano totalmente privi di una qualsiasi forza emotiva capace di suscitare coinvolgimento nello spettatore, motivo che la condusse alla cancellazione.
Nell’ottobre 2011 a cercare fortuna tra gli “orfani” di Lost giunse anche Spielberg, nelle vesti di produttore in Terra Nova, una serie fantasy piuttosto banale, caratterizzata da un budget di altissimo livello ma dai contenuti troppo poveri per diventare un nuovo successo.
Lo scorso gennaio invece ha debuttato Alcatraz, figlia dello stesso JJ Abrams, che, da abile venditore qual è, ha inserito nel cast come protagonista uno dei punti cardine di quel Lost tanto invocato dai fan di tutto il mondo, Jorge Garcia, meglio conosciuto come Hurley. E due settimane fa infine è uscito The River, serie che mescola fantascienza e horror dove troviamo ancora una volta Spielberg nelle vesti di produttore, affiancato da Oren Peli, regista della serie di filmParanormal Activity.

E allora concentriamoci proprio su queste due new entries per capire quale sia già uno Stracult, e quale uno Stracotto!

Di Alcatraz avevamo già parlato con entusiasmo qualche settimana fa, mettendo in luce pregi e difetti di uno show ambientato nel carcere più famoso e affascinante del mondo.
Con questa serie Abrams torna e riconquista punti dopo un paio di esperimenti piuttosto deludenti come Undercovers e Person of Interest. Sviluppata su due linee temporali (quella del ’63 e quella attuale) ogni episodio vede protagonista uno dei detenuti di Alcatraz tornati nel presente per i motivi più disparati, e con lo scorrere delle puntate, gli intrecci fra i personaggi sembrano essere ben più forti di quel che appaiono: tornano stilemi e tematiche care a J.J. che ancora una volta ha la straordinaria capacità di creare un hype notevole che incolla lo spettatore al divano. I segreti dell’isola (vi ricorda qualcosa, forse?) sono tanti e ben articolati in un gioco di specchi dove nulla è come sembra: difficile non premiare questo showcome lo stracult di inizio 2012.

Il titolo di Stracotto invece va senza troppi fronzoli a The River, la maxi produzione Spielberg-Peli (Paranormal Activity), girata daJaume Collet-Serra (The Orphan). L’idea alla base potrebbe anche risultare intrigante, benché non propriamente originale: Emmet Cole, famoso presentatore di un adventure show, svanisce nel nulla durante una delle sue numerose spedizioni lungo il Rio delle Amazzoni. A sei mesi dalla sua scomparsa, la moglie Tess e il figlio Lincoln seguiti 24 ore su 24 dal cinico produttore Qiuetly e dai suoi collaboratori, partono alla ricerca del desaparecido. La principale “novità” della serie è lo stile di regia, un mockumentary girato per lo più in handy-cam per dare  l’idea, appunto, di assistere a una puntata del reality. Quello che appare però a prima vista come uno spunto interessante si trasforma da subito nel suo limite più grande: il finto documentario risulta posticcio e irreale, e telecamere piazzate convenientemente in punti strategici, non sono sempre credibili. A questo va ascritto poi il peggior difetto in cui un horror può incappare: la noia, che caratterizza i novanta minuti della season première. Pathos e tensione sono totalmente assenti, i personaggi sono macchiette da b-movies, la recitazione è troppo enfatizzata e marcata, la sceneggiatura scialba e insipida. Un flop fatto e finito.

E torniamo adesso a riflettere sulla domanda formulata poco fa. Se ci sembra passata una vita da Lost, è perché è stata l’unica serie capace di segnare davvero un’epoca (insieme ad altri telefilm) e la sua chiusura ha sancito la fine di una vera e propria Golden Age.
Inutile cercare oggi in altri show quello che ha rappresentato Lost, soprattutto per il tipo di legame che ha saputo instaurare col pubblico, un legame nato in fretta e che si è rafforzato nel tempo, anche in virtù di abili manovre “extra televisive” che hanno rinsaldato un amore durato anni.
Cercare ossessivamente un altro fenomeno simile è pura utopia, proprio perché nessuno di noi era realmente preparato: chi si sarebbe mai aspettato un tale livello di regia, storia, caratterizzazione dei personaggi da un prodotto televisivo?
Quella di Lost è un’isola dalla quale nessuno di noi sarebbe mai voluto ripartire.
È un’isola su cui, seppur virtualmente, abbiamo vissuto per sei lunghissimi anni.
L’abbiamo spostata temporalmente e fisicamente.
L’abbiamo esplorata, percorsa in lungo e in largo.
L’abbiamo amata, idolatrata, odiata, ogni tanto anche ripudiata.
Eppure, seppur masochisticamente, molti di noi vorrebbero che l’occhio di Jack non si fosse mai chiuso, e in fondo in fondo, vorrebbero il dottore ancora a lì, a battersi per il bene di tutti e per l’amore di Kate.
C’è chi ancora rimpiange quei tempi, quelli in cui ogni settimana ci lasciavamo catapultare in un mondo dove tutto poteva accadere, dove non avevamo bisogno di troppe giustificazioni per spiegare eventi soprannaturali, dove tutto era concesso.
E guai a chi dice che adesso certe “assurdità” non le accetteremo di buon grado: anche oggi a Jack, Sawyer e Locke, saremmo capaci di perdonare tutto, anche oggi accetteremmo situazioni di qualsiasi tipo.
Perché oggi più di ieri, seguiremo i naufraghi dell’Oceanic in capo al mondo, no matter what.
Penso sia sbagliato dire che se Lost andasse in onda nel 2012, saremmo più esigenti e severi, e non sarebbe la stessa cosa, perché in realtà lo sarebbe eccome.
Solo Lost è stato in grado di cambiare la tv, come nessuno aveva mai fatto prima, e come probabilmente, nessuno farà mai da oggi in poi.
La serie di Abrams ha segnato un traguardo importante, una vittoria senza precedenti, marcando un fuoco un universo dove non avrà mai rivali, checché se ne dica.